Eva Mikula nella Uno bianca

Nel novembre 2000 sta per andare in onda su Canale5 uno sceneggiato televisivo dal titolo “Uno bianca”, che ripercorre le gesta criminali compiute dai fratelli Savi, che nelle loro folli scorribande in Emilia Romagna tra il 1987 e il 1994 fecero 24 morti. I personaggi si presentano con nomi di fantasia. Tra di essi c’è Milvia, una ragazza italiana, mora, rappresentata come succube e vittima di uno dei banditi cui è sentimentalmente legata, mai sospettata dagli inquirenti di complicità nei delitti.

Eva Mikula entra in possesso del copione e lo visiona. Riconduce facilmente a sé il personaggio di Milvia e chiede a Mediaset S.p.a. di bloccare la programmazione dello sceneggiato. Mediaset si rifiuta.

Con procedimento d’urgenza Eva Mikula ricorre al Tribunale di Roma chiedendo che venga inibita a Mediaset la messa in onda dello sceneggiato “Uno bianca” perché genericamente lesivo della sua onorabilità e del diritto all’oblìo. Il Tribunale respinge la richiesta, affermando che “Non è lesivo della personalità altrui uno sceneggiato televisivo basato su fatti di cronaca che per la loro eccezionalità e per la efferatezza dei delitti rievocati necessitano di essere ricordati e tramandati, non potendosi invocare una sorta di diritto all’oblìo rispetto a vicende per le quali non sia venuto meno l’interesse del pubblico”.

(Trib. Roma 1° febbraio 2001)
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Preliminarmente va detto che il personaggio di Milvia è indulgente nei riguardi della Mikula, per come questa viene rappresentata nello sceneggiato. Milvia è decisamente succube del capo. Da questi viene spesso maltrattata. Non appare in alcun modo collegata alle imprese criminali della banda. Una descrizione che non fa certo pensare a quella Mikula fredda, spietata e sostanzialmente connivente con il lato peggiore dei fratelli Savi, come invece si è da più parti sostenuto. Non si può certo dire, quindi, che la reputazione della Mikula ne esca compromessa, poiché la figura rappresentata corrisponde a quella sempre rivendicata dalla stessa Mikula durante i vari processi.

Venendo al contenuto della sentenza, si può dire che è pienamente condivisibile. Al tempo stesso offre spunti interessanti per ulteriori chiarimenti in tema di diritto all’oblìo.

Il Tribunale colloca la vicenda della “Uno bianca” tra quei fatti che “necessitano di essere ricordati e tramandati”, negando così a chi ne fu protagonista il diritto all’oblìo. In effetti, la sensazione di pericolo incombente che per un considerevole numero di anni si è stretta intorno ad un’intera regione, l’elevato numero di morti, lo sfondo razzistico in cui è maturata la maggior parte dei delitti della banda, l’appartenenza dei suoi principali componenti alla Polizia di Stato, alcuni mutamenti in seguito verificatisi nella stessa organizzazione delle Forze dell’Ordine, sono elementi che dimostrano come i fatti della “Uno bianca” hanno lasciato un segno indelebile, tanto da entrare nella Storia del nostro paese. Alla loro riproposizione si accompagnerebbe sempre un interesse sociale.

E’ quindi importante il riferimento del Tribunale alla necessità che simili delitti vengano “ricordati e tramandati”. Non c’è spazio per un diritto all’oblìo laddove vi è un obbligo al ricordo. Per il Tribunale la riproposizione della vicenda assume una funzione addirittura educativa nei riguardi di chi all’epoca, per ragioni anagrafiche, non ebbe modo di comprenderne l’estrema gravità. Di fronte a simili fatti, vi è la necessità di garantire alle nuove generazioni lo stesso livello di informazione di cui ha fruito chi ebbe un’esperienza diretta della vicenda. Nemmeno l’art. 27 Cost. e il suo principio della funzione rieducativa della pena potrebbe impedirlo, quand’anche i protagonisti dessero prova di ravvedimento e volontà di reinserimento sociale. Dal punto di vista dell’informazione, i fratelli Savi, e chi con loro, saranno sempre presenti nelle generazioni future come lo saranno il mostro di Firenze ed Erich Priebke.

C’è da chiedersi se analogo trattamento dovrebbe subìre pure chi, come Eva Mikula, finì nelle cronache unicamente perché legata sentimentalmente al capo della banda, anche se era sempre informata su quanto andavano combinando gli altri. Una posizione estranea alla banda, almeno stando a quanto stabilito nei vari processi che l’hanno vista imputata, ma sempre assolta con formula piena.

Nel bene o nel male, la Mikula ha avuto comunque un ruolo importante nella vicenda, anche se non ne è stato mai provato il coinvolgimento nei crimini. Non a caso sono state proprio le sue puntigliose rivelazioni a permettere agli inquirenti di ricostruire nei dettagli la struttura dell’organizzazione e il suo modo di operare. Fosse anche solo per la relazione sentimentale con Fabio Savi e per aver collaborato con gli inquirenti, qualsiasi rievocazione delle vicende della “Uno bianca”, proprio per rispetto della verità, non potrebbe mai prescindere dalla figura di Eva Mikula.