Diffamazione da interrogazione

Nel giugno 1999 il consigliere provinciale di Trento B. L. presenta una interrogazione al Presidente della Giunta provinciale di Trento. In essa accusa la Giunta di aver affidato al giornalista F.G.B. numerosi incarichi di editorialista e di direttore responsabile con riferimento a pubblicazioni “direttamente o indirettamente riconducibili alla proprietà pubblica”, ricavandone in cambio un’attività giornalistica di supporto al potere politico. Il testo dell’interrogazione consiliare viene pubblicato sul periodico “Consiglio Provinciale” .

Il giornalista F.G.B., reputando diffamatorio l’articolo, cita in giudizio direttore responsabile ed editore del periodico. Il Tribunale di Trento accoglie la domanda e condanna i suddetti al risarcimento dei danni. Ma la Corte d’Appello di Trento riforma la sentenza di primo grado ravvisando nell’articolo gli estremi del diritto di cronaca. F.G.B. ricorre per Cassazione.

La Suprema Corte conferma la sentenza d’appello, riconoscendo l’esistenza del diritto di cronaca. Nella sentenza si legge che “Costituisce legittima espressione del diritto di cronaca […] la pubblicazione di una interrogazione parlamentare dal contenuto oggettivamente diffamatorio, sempre che corrisponda al vero la riproduzione (integrale o per riassunto) del testo dell’interrogazione medesima, essendo priva di rilievo, per converso, l’eventuale falsità del suo contenuto, che il giornalista non ha il dovere di verificare, pur avendo l’obbligo di riprodurlo in forma impersonale ed oggettiva, quale semplice testimone, senza dimostrare, cioè, con commenti o altro, di aderire comunque al suo contenuto diffamatorio ed abbandonare, così, la necessaria posizione di narratore asettico ed imparziale del fatto interrogazione”.

(Cass. 27 ottobre 2004, n. 20783)
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Una breve premessa. L’art. 122, comma 4°, Cost. estende ai consiglieri regionali l’esenzione da responsabilità prevista in favore dei parlamentari dall’art. 68 Cost. in relazione alle opinioni espresse e ai voti dati nell’esercizio delle loro funzioni. E l’art. 49 dello Statuto del Trentino Alto Adige garantisce lo stesso privilegio ai consiglieri delle Province autonome di Trento e Bolzano. Quindi, sotto questo aspetto, un consigliere provinciale di Trento è da considerarsi alla stregua di un membro del Parlamento.

La sentenza attiene alla problematica della divulgazione di interrogazioni parlamentari dal contenuto oggettivamente diffamatorio. Nella sostanza non fa altro che confermare il principio enunciato nella già vista Cass., Sez.Un., 16 ottobre 2001, n. 37140, relativa alla diffamazione che origina da un’intervista. In effetti, la problematica è la stessa. In entrambi i casi il rapporto tra fatto lesivo e giornalista non è diretto, ma mediato dalle dichiarazioni di un terzo.

Come deve verificare che quanto divulgato corrisponda a quanto dichiarato dall’intervistato, così il giornalista deve limitarsi a riportare fedelmente il contenuto dell’interrogazione. Il requisito della verità, cioè, non attiene ai fatti cui l’interrogazione si riferisce, ma soltanto alla riproduzione dell’interrogazione stessa.

Secondo l’orientamento giurisprudenziale precedente, il giornalista sarebbe stato condannato per non aver verificato che i fatti contenuti nell’interrogazione corrispondessero a verità, mentre nulla il giudice avrebbe potuto nei riguardi del consigliere, qui coperto dalla garanzia dell’art. 68 Cost. applicabile anche ai consiglieri provinciali di Trento. Una disparità di trattamento assurda. Il consigliere sarebbe stato premiato anche se, magari in mala fede, si fosse servito del giornalista per portare attacchi mirati facendosi scudo delle proprie prerogative costituzionali; e condannato il giornalista che in buona fede avesse dato credito ad una fonte autorevole, come certamente va considerato un consigliere che presenta una interrogazione in Assemblea, nella convinzione di adempiere a un dovere di informazione che era stato lo stesso consigliere a stimolare.

Tra l’altro, dispensare il giornalista dall’onere di controllare la verità dei fatti si impone a maggior ragione in quel particolare contesto cui dà vita la presentazione di una interrogazione. Essa, infatti, viene effettuata proprio allo scopo di appurare la verità su circostanze di interesse pubblico. Spesso alle interrogazioni seguono inchieste, o comunque iniziative o atti ufficiali di organi istituzionali. Sarebbe quantomeno irragionevole costringere il giornalista ad anticipare quei risultati cui per definizione è finalizzata l’interrogazione stessa.

L’interesse pubblico alla diffusione del contenuto dell’interrogazione è garantito dal ruolo istituzionale ricoperto da chi la rivolge all’assemblea. Questi è un rappresentante del popolo, liberamente eletto: di conseguenza è la sua stessa carica a dotare del necessario interesse pubblico i fatti posti all’attenzione dell’assemblea, poi divulgati.

La Suprema Corte pone una condizione perché il giornalista possa qui legittimamente invocare il diritto di cronaca. Deve riprodurre il contenuto dell’interrogazione non solo fedelmente, ma anche “in forma impersonale ed oggettiva, quale semplice testimone”, in modo da apparire “narratore asettico ed imparziale del fatto interrogazione”.

Ragionamento ineccepibile. Se a causa della rilevanza pubblica del fatto interrogazione, il giornalista viene eccezionalmente dispensato dall’onere di controllare la verità dei fatti riportati nell’interrogazione, su di essi non può prendere alcuna posizione. Prevalendo l’importanza del fatto interrogazione sui fatti oggetto dell’interrogazione, questi si collocano al di fuori dell’attività giornalistica. Vanno riportati in quanto qualificano necessariamente il fatto interrogazione, ma in maniera “asettica” (come dice la Suprema Corte) proprio perché il controllo sulla loro veridicità è “sospeso”. Ciò all’evidente scopo di impedire che il lettore possa essere influenzato da una notizia avente ad oggetto fatti lesivi dell’altrui reputazione ma non ancora verificati.

Del resto, una simile conclusione deriva anche dalla funzione tipica del diritto di cronaca, che è quella di garantire un’informazione obiettiva. Se qui l’informazione è costituita dalla dichiarazione del personaggio pubblico, con tutto il suo contenuto, una eventuale presa di posizione da parte del giornalista minerebbe l’obiettività dell’informazione stessa.