SATIRA VERITA' E SATIRA INFORMATIVA

L’intensità del nesso di coerenza causale tra la qualità della dimensione pubblica del personaggio e il contenuto del messaggio satirico può essere regolata dallo stesso autore. Minore sarà la lavorazione sui frammenti estratti dal contenitore della dimensione pubblica, più stretto risulterà il nesso di coerenza causale, essendo maggiore l’aderenza del contenuto della satira alla realtà della dimensione pubblica.

Pertanto, l’autore satirico potrà liberamente ricercare una soluzione artistica che privilegi la diretta rappresentazione del fatto reale. Senza tuttavia rinunciare a fare uso qua e là del paradosso o dell’ironia per rendere l’opera più incisiva e accattivante. Del resto, una delle caratteristiche della satira è notoriamente proprio il continuo alternarsi del serio con il faceto. Così, diversi autori preferiscono dedicare le proprie energie creative a temi di attualità, dando vita ad un genere che si può definire “satira verità”.

Quel che qui diventa estremamente importante sottolineare è che tale decisione rientra in una facoltà di scelta dell’autore assolutamente insindacabile, in quanto tutelata dall’art. 33 Cost. Ciò che si è visto per la scienza a proposito della critica scientifica vale anche per l’arte, poiché l’art. 33 Cost. tutela la libertà di entrambe nella stessa misura. Ossia, come lo Stato non può attribuire ufficialità ad una scienza, così non può dare indicazioni o direttive all’artista sindacando il contenuto della sua opera. Invece, da qualche tempo e in alcuni ambienti si cerca di imporre limiti al contenuto artistico espressivo a varie opere satiriche sostenendo che “la satira non deve fare informazione”. E a tale scopo si è introdotto il concetto di “satira informativa”.

Si dirà più avanti a quale diversissimo contesto va in realtà riferito il termine “satira informativa”. Occorre prima soffermarsi sul valore che il nostro ordinamento giuridico potrebbe riconoscere ai tentativi di vietare una satira verità. Ebbene, questo valore sta a zero.

Infatti, si è visto che il diritto di satira va garantito quando il contenuto dell’opera è in coerenza causale con la qualità della dimensione pubblica del personaggio. A maggior ragione, quindi, man mano che la coerenza causale cede il passo ad una adesione del contenuto al dato reale, ossia quando l’autore utilizza i frammenti tratti dal contenitore della dimensione pubblica rinunciando a “lavorarli“. In altre parole, se il ricorso al concetto di coerenza causale garantisce che nessun danno può derivare dalla deformazione delle informazioni, a maggior ragione non vi sarà danno quando le informazioni che delineano la dimensione pubblica del personaggio vengono riproposte allo stato “grezzo”, così come confluite nel contenitore.

La questione della satira verità pone un problema non molto diverso da quello già affrontato in cinema e diritto di cronaca a proposito dei film verità. In questi ultimi il regista comunica al pubblico non soltanto un risultato creativo, ma anche un fatto di cronaca, facendo luce su una complessa vicenda. In una parola: informa il pubblico. Proprio come nei film verità, nella satira verità l’autore esercita un’attività riconosciuta e tutelata non soltanto dall’art. 33 Cost., ma anche dall’art. 21 Cost. in quanto informativa.

E le peculiarità della satira permettono all’autore qualcosa di più di quello che è in facoltà del regista cinematografico. Mentre quest’ultimo, come già visto, può discostarsi dal dato cronicistico rappresentando i cosiddetti “fatti minori”, l’autore satirico può inserire nell’opera “fatti maggiori”, purché in coerenza causale con la qualità della dimensione pubblica del personaggio, passando a suo piacimento dal serio al faceto, dal reale al paradossale.

Generalmente, chi si oppone alla legittimità della satira verità sostiene una concezione della satira decisamente anacronistica. Ad esempio, negli atti difensivi depositati dalla difesa di Mediaset al processo relativo al caso RaiOt, si legge che la satira “non può, per sua natura, perseguire il fine di contribuire alla formazione della pubblica opinione”; e che deve invece “moderare i potenti, smitizzare ed umanizzare i famosi, umiliare i protervi”, poiché svolge “una funzione fondamentale di controllo sociale e di protezione contro gli eccessi del potere, nonché di attenuazione delle tensioni sociali”. In realtà, la difesa di Mediaset ha tratto questi ultimi due passi da una sentenza del Tribunale di Roma del 1992.

A parte il fatto che il Tribunale di Roma aveva nel caso specifico adoperato quella frase per affermare la legittimità della satira, non per negarla (significando quindi che la satira può avere anche quella funzione), avallare una simile concezione sarebbe estremamente pericoloso. Significherebbe che la satira (in modo particolare quella politica) non può consistere in una critica al Potere, ma deve sempre implicitamente riconoscerlo limitandosi a “scherzarci sopra”, evitando accuratamente sia di fare emergere circostanze vere e imbarazzanti, sia di stimolare pericolose riflessioni.

E’ la concezione, restrittiva, secondo cui la satira “castigat ridendo mores”, accolta dai regimi autoritari. Nelle monarchie assolute l’impegno profuso dai giullari di corte era ritenuto indispensabile. Non c’è bisogno di spendere molte parole per dimostrare l’inconciliabilità di una simile concezione con i principi di una moderna democrazia, dove la verità, in qualunque modo venga diffusa, è sempre una necessità. Tra l’altro, vietando al comico di riferire fatti scomodi ma veri, si porrebbero le basi per estendere il divieto ad altri ambiti, sul presupposto che la verità che “fa male” non va comunque diffusa.

Di conseguenza, frasi come “la satira non deve fare informazione”, oltre a denotare una scarsa dimestichezza con il concetto di libertà costituzionale, sono assolutamente pretestuose, perché finalizzate soltanto ad impedire scomodi approfondimenti informativi e a preparare il campo ad un uso generalizzato della censura. Sarebbe come vietare ai registi di girare film su fatti di cronaca. L’artista è libero di creare ex art. 33 Cost., ma anche di diffondere il proprio pensiero ex art. 21 Cost. attraverso opere che denuncino una situazione reale, persino drammatica, come fa ad esempio Marco Paolini nei suoi famosi monologhi. E come si proponeva di fare Picasso nel 1937 quando dipinse La Guernica, bandito dalla Spagna durante tutto il periodo franchista.

La satira verità finisce per proporsi prevalentemente come critica, poiché spesso assume toni polemici nei riguardi di atti o comportamenti pubblicamente già acquisiti. Non mancano, però, casi in cui la satira è contemporanea alla acquisizione dell’informazione da parte del pubblico. Casi, cioè, in cui l’autore satirico fa anche cronaca. Un esempio è dato da quella satira di “Striscia la notizia” e de “Le Iene” finalizzate allo smascheramento e alla denuncia pubblica di attività truffaldine, ma che tuttavia può porre soltanto un problema di continenza formale, come già spiegato in La cronaca aggressiva.

Tirando le somme, il concetto di “satira informativa” va respinto perché fuorviante. Tende ad estrapolare dal genere della satira una autonoma categoria per farne oggetto di censura. In realtà, il contesto al quale va ricondotto il concetto di “satira informativa” è completamente diverso.

La satira potrebbe definirsi “informativa” solo quando risulti strumentale ad un messaggio informativo. L’unico esempio concreto che può venire in mente è quello della vignetta satirica che, inserita accanto ad una notizia di cronaca o comunque in modo da essere immediatamente riconducibile ad essa, la serve, amplificandone il messaggio informativo. Qui il messaggio satirico cessa di essere tale e diventa anch’esso (come la notizia che serve) informativo.

La conseguenza è che l’autore della vignetta non potrà limitarsi a rispettare il nesso di coerenza causale, ma sarà vincolato al rispetto del requisito della verità, come se stesse comunicando una notizia. Dovrà rinunciare, quindi, alla più importante caratteristica della satira: la deformazione del fatto. Una storpiatura del dato reale potrebbe risolversi in una violazione del requisito della verità secondo i principi del diritto di cronaca.

Detto ciò, è agevole notare la differenza abissale tra la fattispecie ora descritta (vignetta che serve la notizia) e il genere della satira verità visto prima. Nel caso della vignetta, l’elemento satirico è ben distinto, addirittura visivamente, dall’elemento informativo rappresentato dalla notizia. Nella satira verità, invece, l’elemento informativo si fonde con quello satirico. Tale fusione produce un risultato decisivo: nella satira verità l’elemento informativo non potrà mai avere un’efficacia persuasiva paragonabile a quella di una notizia, proprio perché non è autonomo e distinto dall’elemento satirico.

Da ciò derivano due conseguenze importantissime. La prima. Il tipo di opera satirica che privilegia un contenuto aderente alla realtà non va estrapolato dal genere della satira attraverso una sopravvalutazione dell’elemento informativo. La satira verità non costituisce una categoria autonoma di satira in quanto non soddisfa esigenze propriamente informative.

La seconda conseguenza. Nemmeno la “satira informativa”, come ora ricostruita, costituisce una categoria autonoma. E’ soltanto un fenomeno occasionale che, essendo in rapporto di mera strumentalità con una notizia, nasce solo in presenza di essa. I casi giudiziari che seguono si inseriscono in tale fenomeno. A parte il “caso RaiOt”, riconducibile al tipo della satirà verità.

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