Il 'caso RaiOt'

Alle ore 23.30 del 16 novembre 2003 va in onda su RAI 3 la prima delle cinque puntate previste di “RaiOt – Armi di distrAzione di massa”, scritto e interpretato da Sabina Guzzanti. Di un graffiante e geniale taglio satirico ma lucidamente ancorata a dati fattuali, la puntata è un duro attacco all’allora presidente del Consiglio Silvio Berlusconi in difesa della libertà di informazione. La puntata spazia dalla nascita del suo impero mediatico, favorita dall’iscrizione alla loggia “P2” e dagli “agganci politici” con Bettino Craxi, alla emanazione della “legge Mammì” che consacra il monopolio televisivo privato di Mediaset, fino alla sentenza della Corte Costituzionale del 1994 che dichiara illegittima “Rete4”. Per arrivare alla discussa “legge Gasparri” che salva definitivamente Rete4, rafforzando il monopolio Mediaset con la creazione del Sic (“Sistema Integrato delle Comunicazioni”).

In particolare, la Guzzanti definisce Rete4 “abusiva”. Interpretando una giornalista spagnola che intervista Gasparri sulla omonima legge, chiede al ministro chiarimenti sulle voci secondo cui sarebbe stata ideata e scritta non da lui, ma da “qualcuno molto vicino a Confalonieri”. E si chiede come mai ad ogni critica alla “legge Gasparri” non risponda il ministro, ma “l’ufficio stampa di Mediaset”.

Il programma scatena violente polemiche e dopo pochi giorni il Cda della Rai decide di sopprimerlo. Il 28 novembre Fedele Confaloniere, presidente di Mediaset, querela Sabina Guzzanti, alcuni suoi collaboratori e il direttore di Rai 3 per diffamazione aggravata, sostenendo che il programma ha diffuso “invettive, accuse gratuite, infondate, diffamatorie” contro Mediaset e il presidente del Consiglio; e che comunque “la satira non può, per sua natura, perseguire il fine di contribuire alla formazione della pubblica opinione”. Chiede un risarcimento danni di 20 milioni di Euro.

Il pm ritiene la querela infondata e chiede al gip l’archiviazione. Mediaset si oppone. Il gip, riconoscendo il diritto di satira, decide per il “non luogo a procedere” perché il fatto non costituisce reato. Secondo il gip, la satira della Guzzanti conteneva “sostanziali verità”. E’ la stessa Corte Costituzionale, infatti, ad aver sottolineato che il sistema televisivo “trae origini da situazioni di mera occupazione di fatto delle frequenze al di fuori di ogni logica di incremento del pluralismo”, occupazione “legittimata e sanata ex post”. Il programma della Guzzanti “trova perciò proprio nella realtà dei fatti la sua provocazione. Oggetto del suo sberleffo sono i continui interventi legislativi a favore di Rete4, che secondo il comico altrimenti sarebbe abusiva dal 1994”. E se una tale definizione di Rete 4 può sembrare forte, “il beffardo sillogismo della Guzzanti […] non viola i limiti richiesti per l’esercizio del diritto di satira”.

Nemmeno l’aver considerato Mediaset come una sorta di “Ufficio Stampa del ministero di Gasparri” è illecita ad avviso del gip. Trattasi di metafora paradossale, che tuttavia trova “riscontro specifico nella realtà”, poiché la “legge Gasparri” è stata più volte difesa “non tanto dall’Ufficio Stampa di Mediaset, quanto addirittura personalmente dal suo legale rappresentante” attraverso alcune interviste rese da Fedele Confalonieri.

Con riferimento, poi, ai favoritismi che il legislatore avrebbe riservato a Mediaset e al ruolo determinante che questa avrebbe assunto nella redazione della “legge Gasparri”, secondo il gip “Affermare che un determinato soggetto è nelle grazie del legislatore e di un ministro della Repubblica a tal punto da essere indicato non solo come beneficiario esclusivo di una legge fatta ad personam, ma anche come partecipe nella stesura della legge stessa, non è sicuramente lesivo della stima che questi gode fra i consociati. Anzi, il suo valore sociale dovrebbe risultare accresciuto dalla fiducia ripostagli da persone che rivestono primaria rilevanza e importanza nella vita pubblica dello Stato”. Mediaset viene fatta apparire “come una società così importante nel settore al punto che organi istituzionali gradiscono la consulenza di uomini alla stessa legati per la regolamentazione del sistema radiotelevisivo pubblico e privato”.

(Uff. indagini preliminari Trib. Milano 8 maggio 2004)
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La sentenza smentisce quanto sostenuto dalla difesa di Mediaset, secondo cui “la satira non può, per sua natura, perseguire il fine di contribuire alla formazione della pubblica opinione”. Come già spiegato, il concetto di “satira informativa” (che è meglio chiamare “satira verità”, essendo la satira informativa ben altro) è stato introdotto proprio allo scopo di porre limiti alla satira politica. In realtà, la satira verità rappresenta la forma più tenue di satira, ancorandosi a precisi dati fattuali e rinunciando a beneficiare dei ben più ampi spazi offerti dal ricorso al concetto di “coerenza causale” tra dimensione pubblica del soggetto e messaggio satirico. Di conseguenza, l’affermazione di Mediaset contraria ad una satira che persegua “il fine di contribuire alla formazione della pubblica opinione” è illogica e contraddittoria, essendo paradossale vietarla se fedele ai fatti e ritenerla invece lecita quando storpia la realtà.

Tra l’altro, il messaggio satirico globale e paradossale che la puntata di "RaiOt” vuole inviare al telespettatore è la necessità che il comico, in tempi di epurazioni e censure, si sostituisca al giornalista per garantire uno standard accettabile di informazione. Nella puntata la Guzzanti esordisce impugnando una spada e camminando nello studio con circospezione, allo scopo di prevenire eventuali aggressioni, pregando il telespettatore di “avere pazienza” perché “sono tempi curiosi per la satira”. E lamentandosi del fatto che Dario Fo, Marco Paolini, Paolo Rossi, Beppe Grillo e Lella Costa debbano incaricarsi di fare informazione.

Il messaggio satirico è poi magistralmente riassunto nell’intervista che il ministro Gasparri (Neri Marcorè) concede alla giornalista spagnola (Sabina Guzzanti). La giornalista mette con le sue domande dirette in evidente difficoltà il ministro sul vero motivo della emanazione della “legge Gasparri”, il quale abbozza risposte molto confuse e, a telecamere spente, chiede alla giornalista se può fargli un “riassuntino” della legge insieme ad una serie di domande concordate. Qui la gag della Guzzanti vuole sottolineare quella che dovrebbe essere la vera funzione del giornalista in un sistema democratico avanzato: formulare domande che mettano in difficoltà, rilevando le contraddizioni che inevitabilmente emergono quando l’intervistato mente, al solo scopo di fare emergere la verità.

Passando ai singoli fatti “incriminati”, secondo il giudice la Guzzanti afferma il vero quando attribuisce a Rete4 la qualifica di “abusiva”. In effetti, persino la Corte Costituzionale ha in più occasioni parlato di “occupazione di fatto delle frequenze” con riferimento alla rete Mediaset. Occupazione di fatto poi sanata attraverso appositi interventi legislativi (da ultimo: la L. n. 112/2004, meglio nota come “legge Gasparri”).

Egualmente legittima è l’affermazione della Guzzanti secondo cui ogni volta che si critica la “legge Gasparri” risponde l’Ufficio Stampa di Mediaset. Anche questa, secondo il giudice, è un’affermazione che trae un qualche riscontro dalla realtà dei fatti, opportunamente adattata al contesto satirico. Mediaset ha spesso ed esplicitamente preso posizione a favore di quella legge e assunto il ruolo di contraddittore nell’opporsi alle critiche che vedono in quella legge il riconoscimento del monopolio Mediaset. Ne sono prova, secondo la sentenza, le interviste concesse da Confalonieri a “La Repubblica” del 3 dicembre 2003 ed a “Il Giornale” del 18 dicembre 2003, nelle quali il presidente di Mediaset considera pretestuose le critiche mosse alla “legge Gasparri”.

E nemmeno l’allusione della giornalista spagnola al fatto che la legge sia stata ideata e scritta non dal ministro Gasparri, da lei intervistato, ma “da qualcuno molto vicino a Confalonieri” per favorire Mediaset, può essere considerata, secondo il giudice, una violazione dei limiti stabiliti per il diritto di satira. La difesa di Mediaset parte dal presupposto che l’allusione sia diffamatoria. Il giudice, invece, spiega che per Mediaset essere nelle grazie del legislatore e di un ministro, nonché essere tenuti in una considerazione tale da arrivare a prestare la propria “consulenza” nella redazione di una legge, è affermazione tutt’altro che diffamatoria. Anzi, è un’affermazione che “accresce l’importanza e il valore sociale di Mediaset”.

Il ragionamento del giudice va condiviso in pieno. Ragionamento che può sembrare ironico, ma non lo è affatto. Se la diffamazione si basa sulla lesione della reputazione, l’attribuzione a Mediaset di un ruolo preminente nella redazione della “legge Gasparri” non può in alcun modo ritenersi lesivo, in quanto anziché denigrare l’azienda (come accade in una diffamazione) ne accresce il valore e l’importanza. Deve ritenersi, cioè, tutt’altro che lesivo della reputazione di un’azienda indicarla come favorita dal legislatore e dai ministri del Governo. Sotto questo aspetto, al limite, chi avrebbe dovuto ritenersi sottostimato è proprio il ministro Gasparri, i cui poteri istituzionali appaiono nell’intervista decisamente compressi di fronte agli interessi di Mediaset.