IL DIRITTO DI CRITICA

Attraverso la tutela del diritto di cronaca, ogni ordinamento democratico garantisce la libertà di informazione nella sua duplice veste di diritto ad informare e ad essere informati. Con la tutela del diritto di critica, l’ordinamento garantisce quell’aspetto della libertà di pensiero che più di ogni altro è funzionale alla dialettica democratica.

Diritto di cronaca e diritto di critica sono entrambi emanazioni dall’art. 21 Cost. Tuttavia, la loro diversità è enorme. La cronaca riferisce una realtà fenomenica (fatto o comportamento). Essendo informazione, è obiettiva. La critica, essendo valutazione, è soggettiva. La cronaca nasce con il fatto e lo descrive, la critica segue la descrizione del fatto e lo valuta. La cronaca esprime l’identità tra una realtà fenomenica e l’informazione che la veicola, la critica esprime un dissenso verso quella realtà fenomenica.

In realtà, quando si parla di diritto di critica, si vuole legittimare qualcosa che va ben al di là della mera opinione. Le potenzialità dell’art. 21 Cost. sono ben altre. Sarebbe estremamente frustrante per l’art. 21 Cost. sapersi in grado di tutelare soltanto un generico, umile ed innocuo “secondo me…”. La libertà di opinione permette di esprimere la propria idea su una questione, giusto per aggiungere una voce alle altre. Il diritto di critica, invece, è dura contrapposizione, è mettere a nudo l’inadeguatezza, l’inaffidabilità, la falsità, gli errori altrui. E’ voler scuotere, provocare una reazione. La critica è fondamentalmente un attacco.

E’ il giudizio soggettivo a caratterizzare la critica rispetto alla cronaca. Se quest’ultima consiste nel riferire un fatto obiettivo, è possibile fornire per esso un solo messaggio informativo. Le possibilità di critica nei confronti di un fatto, invece, sono tendenzialmente infinite. E’ utile in proposito un esempio del prof. ZENO ZENCOVICH con riferimento alla possibilità di messaggi di dissenso attorno al dipinto di un artista. Esse vanno dal fatto obiettivo (“olio su tela 25 x 35”) alla esclamazione “orrendo!” da parte del critico, laddove la cronaca consisterebbe nel riferire esclusivamente “olio su tela 25 x 35”. Si capisce quindi l’estrema variabilità di una valutazione, di un giudizio, rispetto alla univocità di un’informazione.

Dando 100 alla esclamazione “orrendo!” e zero ad “olio su tela 25 x 35”, la critica che è prossima al valore zero non avrà alcuna possibilità di essere accolta o contrastata, poiché non esprime una valutazione, ma riporta un fatto, come la cronaca. Man mano che il critico si allontana da zero, la sua valutazione stimolerà reazioni, favorevoli e contrarie. Più si avvicina a 100, più intenso sarà il dibattito, che è lo strumento attraverso cui si attua la democrazia.

In teoria la critica dovrebbe incontrare gli stessi limiti previsti per il diritto di cronaca: verità, interesse pubblico, continenza formale. Solo se rispetta tutti e tre i requisiti la critica è legittima. La verità è riferita al fatto: ossia la critica deve poggiare su basi veritiere. Deve rivestire un interesse pubblico, che è poi riferito allo stesso fatto: non si potranno, quindi, esprimere pubblicamente valutazioni critiche su fatti privati o comunque privi di interesse per la collettività. Infine, la critica deve rispettare il requisito della continenza formale.

In teoria, appunto. Ma in pratica, la differenza ontologica con la cronaca rende impossibile applicare alla critica i tradizionali requisiti nella stessa misura e con la stessa severità. Non è difficile immaginare come la valutazione di un fatto, passando attraverso la sua interpretazione, possa tendere a travisarlo. E come la critica verso una persona, o un suo comportamento, per forza di cose finisca per rappresentarla in maniera diversa da quella che è.

Non a caso la giurisprudenza ha riconosciuto il diritto di critica a chi attaccava un avversario politico definendolo “un khomeinista nella lotta per il potere, che ha collaudato un modo di amministrare a metà strada tra il decisionismo e l’illegalità, come non si era mai visto finora nelle peggio amministrate città d’Italia” e che avrebbe fatto da “cerniera tra l’amministrazione e i gruppi immobiliari finanziari, che nel frattempo sono diventati i veri padroni di Roma”; o a chi qualificava altri con il termine “faccendiere” o “lottizzato”.

Si pensi se queste frasi fossero state riportate in un articolo di cronaca. Il diritto di critica non poggia sull’obiettività. Non è finalizzato ad informare, ma a stimolare un dibattito. Partendo non dalla realtà obiettiva ma da un punto di vista, si basa su valutazioni soggettive, fatte per essere accolte o contrastate, ma comunque dibattute. Il diritto di critica è forse la più genuina e significativa delle libertà contenute nell’art. 21 Cost., poiché il diritto di cronaca non deriva solo da una libertà, ma anche dal dovere di informare la collettività su fatti di interesse pubblico, e da questo dovere si trova ad essere inevitabilmente limitato. Sarebbe invece controproducente se si vincolasse il diritto di critica alla “verità” o alla “continenza formale” che si esige nella cronaca, perché non stimolerebbe alcun dibattito. Il diritto di critica non è informazione, ma legittimo attacco.

Tuttavia, è chiaro che anche il diritto di critica incontra dei limiti.

Per quanto riguarda il requisito della verità, a differenza della cronaca, che è sempre informazione su fatti determinati, l’oggetto della critica può essere incredibilmente vario. Può indirizzarsi su un fatto determinato, come la cronaca, ma anche riguardare un comportamento generico e diluito negli anni. Ma più la critica riguarda fatti specifici, maggiore è la sua potenzialità lesiva, maggiore quindi l’esigenza che venga rispettata la verità. Più la critica è generica, minore è il pregiudizio che può derivarne, minore la necessità del controllo sulla verità.

Che una critica generica sia potenzialmente meno lesiva di una critica su fatti determinati, è una conclusione che si trae anche dalle disposizioni del codice penale sull’ingiuria e la diffamazione (artt. 594 e 595 c.p.). Entrambe le figure di reato prevedono una pena doppia quando “l’offesa consiste nell’attribuzione di un fatto determinato”.

Inoltre, le argomentazioni critiche sorrette da motivazioni razionali, pur se discutibili e comunicate con veemenza, assicurano un corretto esercizio del diritto di critica, perché si offre alla controparte la possibilità di controbattere con argomentazioni altrettanto razionali, arricchendo così il dibattito intorno a problematiche di interesse pubblico. Questo è un aspetto fondamentale del diritto di critica, che assicura altresì il rispetto del requisito della continenza formale. Nella critica il requisito della continenza formale è necessariamente meno rigido di quello che si esige nella cronaca. Consistendo la critica in un attacco, è chiaro che non può pretendersi dall’autore lo stesso equilibrio di chi veicola un’informazione. Quest’ultimo è vincolato alla narrazione obiettiva ed imparziale dei fatti, ad un inquadramento non “di parte” della vicenda. Cosa che non è possibile pretendere da chi esprime una critica, che esprime proprio una valutazione “di parte”.

Tuttavia, ciò non esclude che la critica possa a volte consistere in una mera aggressione personale, come tale incapace di stimolare dibattiti costruttivi. Ad esempio, non può non destare l’interessamento della magistratura chi in campagna elettorale definisce un avversario politico “pidocchio, mascalzone e burattino”; o i candidati di una lista elettorale avversaria “incapaci di aprire bocca senza dire menzogne”; o un’intera giunta regionale “uno scandaloso branco di signorotti stolti e fannulloni”. Frasi del genere non hanno nulla di costruttivo. Non è possibile la verifica della verità perché non vi sono fatti. E’ una critica sul nulla, perché priva di argomentazioni. Queste frasi deprimono, anziché stimolare, la dialettica democratica. Offendono gratuitamente. Pertanto, non possono ritenersi legittime.

Tuttavia, bisogna ammettere che nelle ultime campagne elettorali si è assistito ad un generale innalzamento dei toni critici. Nella dialettica politica hanno fatto ingresso termini che in teoria non potrebbero considerarsi espressione di una corretta critica, perché non sorretti da argomentazioni. Non si può negare che la tendenza alla spettacolarizzazione delle campagne elettorali abbia finito per provocare un avanzamento dei tradizionali limiti del diritto di critica.

Naturalmente anche nella critica ha rilevanza il requisito dell’interesse pubblico, da intendersi come interesse della collettività a venire a conoscenza della manifestazione critica. Significa che l’oggetto su cui verte la critica deve riguardare fatti o comportamenti che rivestono una certa importanza per la collettività, con esclusione quindi dei fatti personali. Se poi la manifestazione critica è basata prevalentemente su un giudizio, deve necessariamente rivolgersi ad una persona presente nella vita pubblica. La collettività non ha alcun obiettivo interesse a conoscere i giudizi su persone prive di notorietà, proprio perché non ha interesse ad una conoscenza approfondita di quella persona. Per questo la critica pubblicamente rivolta ad uno sconosciuto non può considerarsi legittima. In generale, si può dire che quanto maggiore è la rilevanza pubblica di un personaggio, tanto più le critiche rivoltegli saranno ritenute legittime.

E più la critica riguarda l’aspetto pubblico del personaggio, vale a dire l’attività che lo caratterizza agli occhi dei più, maggiore sarà la probabilità che venga ritenuta legittima, essendo maggiore l’interesse pubblico alla sua conoscenza. La critica rivolta ad un politico su fatti della sua vita privata non può interessare la collettività, se quei fatti non incidono sulla sua attività pubblica. Va stimolato il dibattito su questioni rilevanti. In pratica, come va data la massima trasparenza al rapporto che lega il personaggio alla collettività (cronaca), così va garantito il dibattito cui può dar vita un giudizio espresso su quel rapporto (critica).

Un’ultima osservazione. Da alcune parti si afferma che la critica può accompagnare la cronaca. Questa affermazione non può accettarsi. La rievocazione dei fatti è sì connaturata ad un’idea di critica, anche perché ne rafforza l’efficacia; e la critica spesso si accompagna sì ad una comunicazione di fatti, eventi, comportamenti. Ma ciò non ha nulla a che vedere con l’informazione. Non è informazione, ma critica, quella contenuta in un editoriale in cui viene rievocato un fatto allo scopo di criticare aspramente il soggetto cui viene attribuito. Qui la citazione del fatto è strumentale alla critica, non all’informazione. La descrizione del fatto è separata dalla manifestazione del pensiero e la relativa informazione acquisita. Di conseguenza, se si vorrà esercitare il diritto di critica, anche nei riguardi di un fatto appena acquisito, la critica dovrà essere ben distinta, fisicamente e graficamente, dalla cronaca.

Che la cronaca, intesa come veicolo dell’informazione, non possa andare di pari passo con la critica, è anche una conclusione imposta dall’idea stessa di obiettività dell’informazione. Se la critica è valutazione soggettiva, è incompatibile con la cronaca, che è narrazione obiettiva di fatti. Si pensi, poi, al conflitto che si determinerebbe tra la libertà di forma insita nel diritto di critica e il requisito della continenza formale che si esige nella cronaca. Anzi, come si è già avuto modo di spiegare in La continenza formale, la categoria della violazione palese del requisito della continenza formale si esprime esemplarmente proprio attraverso una critica espressa in un contesto di cronaca. Insomma, sostenere che la critica possa accompagnare la cronaca significa affossare il concetto di obiettività della notizia.

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