CINEMA E DIRITTO DI CRONACA

Il cinema è espressione artistica. Essendo basata su fatti immaginari, è caratterizzata da un alto grado di creatività. Ma non sempre un film è frutto di pura immaginazione, rappresentando a volte eventi realmente accaduti. E’ il caso dei cosiddetti film verità, in cui il regista vuole comunicare al pubblico non solo un risultato creativo, ma anche un fatto storico. Magari, far luce su una complessa vicenda. In una parola: informare il pubblico. Per fare un’analogia, con il film verità il registra tende ad ottenere un risultato simile a quello che si propone il giornalista televisivo con un programma di approfondimento informativo.

Così, quando ha per oggetto la narrazione di fatti storici, il film diventa veicolo di informazione. Per questo è assimilabile alla cronaca. In tal modo gode del trattamento privilegiato riservato al diritto di cronaca, ma ne conosce i limiti. Tra questi, la verità dei fatti narrati.

Nella narrazione dei fatti il film deve quindi basarsi su quanto appreso da fonti ufficiali, o comunque sul risultato di un serio e attento lavoro di ricerca. E i personaggi reali debbono essere rappresentati nel modo più fedele possibile, per non ledere il loro diritto all’identità personale.

Ma il fatto che il film diventi veicolo di informazione, non significa che lo sceneggiatore, il regista, il produttore debbano comportarsi esattamente come il buon articolista, il buon direttore, il buon editore. Qui l’informazione assume caratteristiche del tutto particolari, derivanti dall’essere il cinema una forma d’arte. Nel bilanciamento tra valori costituzionali confliggenti, non vi è soltanto l’art. 21 Cost. da difendere, ma anche l’art. 33 Cost., che sancisce la libertà dell’arte e che si manifesta in due modi: il diritto dell’autore a divulgare la propria creazione e il diritto della collettività ad arricchire il proprio patrimonio intellettuale attraverso la fruizione dell’arte.

Da ciò deriva che mentre nell’esercizio del diritto di cronaca a mezzo stampa o tv, sui diritti del singolo prevalgono il diritto alla libera manifestazione del pensiero e quello della collettività a ricevere un’informazione obiettiva, in un film verità a questa prevalenza si aggiunge quella legittimata dall’art. 33 Cost. Pertanto, il sacrificio dei valori del singolo individuo (onore, decoro, reputazione, identità personale) appare, qui, ancora più giustificato.

Si arriva così ad una conclusione inevitabile. Per esprimere la propria arte e dare al pubblico la possibilità di fruirne, l’autore deve poter discostarsi dalla realtà nel descrivere fatti e personaggi. Una variazione non certo arbitraria, poiché nel film verità il diritto alla creazione artistica è comunque subordinato al diritto di cronaca, essendo l’intento dell’autore non creativo, ma informativo. Si tratta, quindi, di stabilire i limiti di questa facoltà di variazione.

Per quanto riguarda i fatti, l’autore potrà riportarne di non veri, che non dovranno però stravolgere l’informazione base. Potrà immaginare ed inserire scene che riportino fatti minori: fatti che, seppure non veri, non inducano lo spettatore a travisare l’informazione base, che è il fatto maggiore. E nel descrivere un personaggio potrà attribuirgli fatti minori che ne arricchiscano la figura, rendendola più accessibile, più comprensibile, senza tuttavia travisarne la personalità, che resta il fatto maggiore.

Per comprendere meglio il rapporto tra fatto maggiore e fatto minore può essere utile il ricorso al concetto di prevedibilità del fatto immaginario: un fatto non vero è “fatto minore”, e può quindi essere legittimamente narrato, quando appare come il normale sviluppo del “fatto maggiore”. Qui l’attribuzione immaginaria non accresce la potenziale lesione della reputazione, già causata dalla narrazione del fatto maggiore (vero), che ingloba quello immaginario. Se ad esempio viene girato un film sulla storia di un noto ed incallito violentatore, si potranno inserire alcune scene non vere che lo ritraggono mentre compie molestie telefoniche. Se viene girato un film sulla vita di Wanna Marchi, ci si può inventare che a sedici anni aveva venduto una bottiglietta, contenente acqua santa della parrocchia vicina, spacciandola per acqua di Lourdes, se ciò viene dal regista reputato funzionale ad una più efficace rappresentazione artistica.

I fatti minori trovano la loro legittimazione unicamente nel principio di libertà dell’arte di cui all’art. 33 Cost. Non rientrano nel messaggio informativo, ma nella componente artistica del film. Tuttavia, perché il fatto minore rimanga tale, non deve mutare o soltanto ampliare il fatto maggiore. Altrimenti, il diritto alla creazione artistica cessa di essere tale per servire un diritto di cronaca basato su fatti non veri. Il fatto minore deve avere solo la funzione di curare l’estetica del fatto maggiore.

Alcuni esempi tratti da casi giudiziari aiuteranno a capire meglio come il diritto di cronaca si atteggia quando l’informazione viene diffusa attraverso una pellicola cinematografica.

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