La sberla del Capo
al cronista che denuncia
la cattiva amministrazione

Bologna, 14 dicembre 2008

(avv. Antonello Tomanelli)

E mo’ l’accido…”, si sarò detto Luigi Sementa, comandante della Polizia Municipale di Napoli, quando ha visto che il ceffone mollato al giornalista Alessandro Migliaccio è andato a finire addirittura su “Linea Notte”, la rubrica del Tg3 condotta da Maurizio Mannoni, per poi fare il giro del web.

Casus belli un articolo apparso il 5 dicembre sul quotidiano “Il Napoli” dal titolo “Gran bazar d’illegalità nel rione del comandante”, in cui Migliaccio denuncia il caos e la mancanza di regole che caratterizzano la zona attorno a via Cisterna dell’Olio, nel centro storico di Napoli. Auto parcheggiate al centro della carreggiata, tavolini sistemati sulla strada, cassette della frutta e fioriere che invadono i marciapiedi impedendo persino il transito pedonale, rifiuti sparsi un po’ ovunque. Una situazione che “assume i contorni del paradosso se si pensa che proprio in via Cisterna dell’Olio tutti i giorni ci passa il comandante della Polizia Municipale, Luigi Sementa, che abita in zona”, aggiunge il giornalista.

Quella stessa mattina Luigi Sementa convoca Migliaccio nei propri uffici. Non gli dà nemmeno il tempo di parlare che parte il ceffone. “Tu hai messo a rischio me e la mia famiglia per quello che hai scritto”, gli grida.

Che i timori manifestati dal comandante siano soltanto una scusa è evidente. L’articolo non individua l’abitazione del comandante, parlando genericamente di residenza “in zona”. Qui inutilmente Sementa invocherebbe il diritto alla riservatezza, né il fatto di risiedere in un “rione” potrebbe considerarsi quale “dato personale”. Poi, la situazione di degrado in cui versa il quartiere di una città come Napoli può essere di interesse pubblico, soprattutto per i lettori di un quotidiano a diffusione prevalentemente locale come appunto “Il Napoli”. E senz’altro rientra nel concetto di interesse pubblico la circostanza che risieda in quel quartiere proprio chi ha il potere di ovviare a quella situazione di degrado.

Ma anche la realizzazione del video che mostra lo schiaffo rientra nel diritto di cronaca. Il fatto che Migliaccio sia entrato negli uffici della Polizia Municipale con una telecamera nascosta non costituisce violazione delle norme sul trattamento dei dati personali in ambito giornalistico. Va infatti ricordato quanto stabilito all’art. 1 del codice di deontologia dei giornalisti: “In quanto condizione essenziale per l’esercizio del diritto dovere di cronaca, la raccolta, la registrazione, la conservazione e la diffusione di notizie su eventi e vicende […] si differenziano nettamente per la loro natura dalla memorizzazione e dal trattamento di dati personali ad opera di banche dati o altri soggetti”. A differenza di qualsiasi altro soggetto che tratta dati personali, il giornalista non è tenuto a rendere nota la finalità del trattamento quando ciò “renda altrimenti impossibile l’esercizio della funzione informativa” (art. 2, comma 1°). E non c’è dubbio che Migliaccio non avrebbe mai potuto svolgere quella funzione se avesse palesato la telecamera.

Da notare che nel trattamento dei dati personali il giornalista incontra addirittura minori limiti di quelli riguardanti gli enti pubblici, per definizione portatori di un interesse pubblico. Questi, infatti, possono trattare liberamente dati personali “soltanto per lo svolgimento delle funzioni istituzionali”, e solo su autorizzazione di una legge o di uno specifico provvedimento del Garante quando il trattamento riguarda dati sensibili o giudiziari. Limite non previsto per il giornalista, se il trattamento riguarda fatti di interesse pubblico. Per giunta, l’informativa sul trattamento va dagli enti pubblici resa sempre e in forma integrale, senza possibilità di una qualche “forma semplificata”, o addirittura di una esenzione, come è invece previsto in alcuni casi per i giornalisti dall’art. 2 del codice di deontologia.

Quanto poi alla diffusione del video, non c’è dubbio che sussiste l’interesse pubblico alla acquisizione di quelle immagini. Un comandante di polizia municipale che schiaffeggia un giornalista per avere questi osato accostare il suo nome, ma soprattutto la sua funzione pubblica, ad una situazione di degrado, costituisce certamente “notizia”. E’ la rappresentazione del tentativo di ostacolare la funzione informativa da parte dei pubblici poteri, ed il conseguente controllo dei cittadini sul loro esercizio, essendo il giornalista l’anello di congiunzione tra fatto e collettività.

Va poi rilevato un altro aspetto. Da quanto trapelato, il giornalista Alessandro Migliaccio si è limitato a querelare Luigi Sementa per il reato di percosse. Un reato che certamente ci sta tutto. Ma c’è ben altro nel comportamento del comandante della Polizia Municipale di Napoli.

Il giorno stesso della pubblicazione dell’articolo, Sementa utilizza l’ufficio stampa del comune per contattare il giornalista. Vi è quindi l’uso di telefoni, fax, personale dell’Amministrazione, etc. Convoca il giornalista nella sede della polizia municipale, lo fa accompagnare nel proprio ufficio da dipendenti pubblici, di giorno, nel pieno esercizio delle sue funzioni. Il tutto allo scopo di aggredirlo fisicamente. Si badi bene che al giornalista viene chiesto un documento di riconoscimento dagli uomini del comandante e al suo cospetto. Fatto di per sé quantomeno inconsueto, poiché il documento generalmente viene chiesto prima di accedere ad un ufficio dirigenziale. E l’aggressione fisica parte immediatamente dopo l’identificazione. Dunque, l’identificazione diretta è servita soltanto a conferire a Sementa la certezza dell’identità del giornalista. In altre parole, qui Sementa strumentalizza chiaramente la propria autorità, i propri poteri e i luoghi deputati al loro esercizio per fini che hanno ben poco a che vedere con quelli istituzionali.

Ce n’è abbastanza per incriminare il comandante Luigi Sementa per il reato di abuso d’ufficio (art. 323 del codice penale), norma che punisce “il pubblico ufficiale o l’incaricato di pubblico servizio che, nello svolgimento delle funzioni o del servizio, in violazione di norme di legge o di regolamento, intenzionalmente […] arreca ad altri un danno ingiusto”. Tra l’altro, qui non si può non rilevare l’aggravante di cui all’art. 61 n. 1 del codice penale, per “avere agito per motivi abietti o futili”. Per la precisione, motivi “abietti”, dovendo essere considerati tali quelli consistenti nella reazione ad un legittimo esercizio del diritto di cronaca.