Guardia di Finanza al Tg1:
e Minzolini commette
il reato di peculato
Bologna, 30 settembre 2011
(avv. Antonello Tomanelli)
L’editoriale del direttore Augusto Minzolini andato in onda ieri al Tg1 delle 20 in reazione alla perquisizione effettuata nei suoi uffici Rai dalla Guardia di Finanza su delega della procura di Roma, rappresenta forse l’esempio più eclatante di come possa materializzarsi un “conflitto di interessi”. Indagato per abuso d’ufficio e mancato adempimento dell’ordine di un giudice, si è appropriato di due minuti di Tg per lanciare un attacco generico e confuso, ma violento, alla magistratura, passando dal recente caso della procura di Napoli fino ad arrivare al giallo dell’Olgiata.
Minzolini non è nuovo a questi comportamenti. Da anni utilizza il suo ruolo per lanciare attacchi alla magistratura e, soprattutto, per difendere il presidente del Consiglio. Comportamenti che nella maggior parte dei casi sono sfociati nella violazione della Carta dei Doveri del giornalista, soprattutto con riferimento al dovere di autonomia.
Tuttavia, questa volta c’è qualcosa di più. Molto di più. Minzolini non ha difeso il presidente del Consiglio, ma se stesso. Perché l’editoriale ha avuto come oggetto la perquisizione che la Guardia di Finanza, su delega della procura di Roma, aveva appena effettuato nei suoi uffici Rai alla ricerca di prove documentali dopo la denuncia penale sporta ai suoi danni dalla giornalista Tiziana Ferrario per il reato di cui all’art. 388 c.p. (“mancata esecuzione dolosa di un provvedimento del giudice”), essendosi Minzolini rifiutato di reintegrare la giornalista nelle sue mansioni dopo la sentenza del giudice del lavoro.
Siamo aldilà della violazione di semplici (anche se importantissime) norme deontologiche. Siamo al reato di peculato.
Il reato di peculato, che è un reato contro la pubblica amministrazione, è previsto dall’art. 314 c.p., che ne disegna due tipi. Il primo, previsto dal primo comma, punisce “il pubblico ufficiale o l’incaricato di pubblico servizio che, avendo per ragione del suo ufficio o servizio il possesso o comunque la disponibilità di danaro o di altra cosa mobile altrui, se ne appropria”. Per intenderci, è il reato del pubblico ufficiale che ruba cose dell'amministrazione. Ed è proprio il reato di cui Minzolini è stato già accusato dalla procura di Roma per alcune spese discutibili che avrebbe fatto in giro per il mondo usando la carta di credito Rai, e per il quale è ormai prossima la richiesta di rinvio a giudizio.
Il secondo tipo di peculato è previsto e punito dal secondo comma. Di minore gravità, scatta “quando il colpevole ha agito al solo scopo di fare uso momentaneo della cosa e questa, dopo l’uso momentaneo, è stata immediatamente restituita”. E' il cosiddetto peculato d'uso. Ed è proprio ciò che ha fatto Minzolini con il suo editoriale di ieri, se si parte da due presupposti.
Il primo. Le frequenze televisive sono considerate dalla giurisprudenza “cose mobili” ex art. 814 c.c., in quanto riconducibili ad “energie naturali che hanno valore economico”. E “cose mobili” sono certamente (anche) gli arredi dell’ufficio (compresa la telecamera che lo inquadrava) in cui Minzolini ha ambientato l’editoriale.
Il secondo. Il concetto di “uso” implica l’utilizzo temporaneo del bene mobile per fini estranei a quelli istituzionali. Se si pensa che la Rai è riconducibile al concetto di servizio pubblico, è facile comprendere la natura personalissima dell’“uso” che Minzolini ha fatto delle frequenze Rai, messe ieri sera per due minuti a propria disposizione per curare un proprio esclusivo interesse.