Dare del fazioso
a un giornalista
può essere diffamazione

23 luglio 2007

(avv. Antonello Tomanelli)

Secondo la definizione fornita dallo Zingarelli, è fazioso chi “professa con intransigenza, senza obiettività, idee di parte”. Per il Battaglia, colui “che sostiene accanitamente le tesi di una parte, di un partito o la candidatura di una persona, che tende a farsi sostenitore intransigente di una tesi estrema […] settario, fanatico, estremista; tendenzioso, non obiettivo, parziale”. In altre parole, il fazioso mente per curare interessi di parte.

E’ evidente che di per sé il termine “fazioso” non è denigratorio e non costituisce un insulto. Ma si compari la definizione con i doveri che contraddistinguono l’attività giornalistica. In questo contesto, il termine “fazioso” individua un atteggiamento antitetico al dovere di autonomia. Ma, soprattutto, al dovere di verità, che è il caposaldo del diritto di cronaca e, tra i doveri del giornalista, quello più pregnante.

Logicamente il giornalista fazioso non è portatore dell’interesse generale della collettività a ricevere un’informazione obiettiva, perché tutela interessi di parte. E non può avere un rapporto con la collettività indiscriminata, perché non è credibile. Ne deriva che in determinate circostanze chi dà del “fazioso” a un giornalista finisce per lederne la reputazione, integrando gli estremi della diffamazione. E’ un po’ quello che accade quando si accusa un pm o un giudice, organi che sono “soggetti soltanto alla legge” (art. 101, comma 2°, Cost.), di svolgere indagini o emettere sentenze “politiche”, sebbene l’essere “politicizzato” non abbia di per sé alcuna valenza negativa.

Tuttavia, anche qui valgono i tradizionali criteri che delimitano la critica legittima. Può accadere, cioè, che un giornalista realmente affermi il falso o occulti il vero per tutelare interessi di parte. In questo caso, dargli del “fazioso” costituirebbe libera manifestazione del pensiero ex art. 21 Cost., perché la critica si baserebbe sulla verità. Pertanto, è lecito accusare di faziosità un giornalista, ma indicando specificamente le falsità o le omissioni in cui è davvero incorso; e, nel contempo, argomentando la critica, ossia riconducendo le falsità o le omissioni all’esigenza di tutelare interessi di parte.

La questione, quindi, dovrebbe finire qui. In teoria, però. In pratica, a complicarla è la tendenza a relegare il giornalista televisivo ad un ruolo passivo nella conduzione dei programmi di approfondimento informativo, considerandolo semplice garante delle opinioni altrui. Vale a dire: il ruolo del conduttore di un programma di comunicazione politica, dove i soli protagonisti sono i soggetti politici. Così, si accusa di “faziosità” il giornalista che, rivendicando i propri spazi e le proprie prerogative professionali, assume un ruolo attivo (e fisiologico) nella conduzione di un programma di approfondimento informativo. Ma così facendo il comportamento del giornalista conduttore collide con l’interesse dei soggetti politici che partecipano alla trasmissione.

Nei programmi di comunicazione politica il giornalista non è parte del contraddittorio, previsto solo tra i soggetti politici. Non può interrompere il politico, perché bloccherebbe il flusso comunicativo tra politico e telespettatori, che va garantito paritariamente ad ogni soggetto politico, secondo le regole della par condicio e in osservanza del principio del pluralismo. Nella comunicazione politica il giornalista conduttore non ricerca la verità perché non genera informazione. Deve unicamente consentire ad ogni politico di esporre la “propria” verità. Svolge un ruolo passivo, di garanzia delle prerogative dei soggetti politici, unici protagonisti della trasmissione.

Ma si può notare che in molti programmi di approfondimento informativo lo stile di conduzione è il medesimo. Il giornalista conduttore si preoccupa principalmente di dare eguale spazio alle valutazioni dei politici presenti, che rappresentano in maniera paritaria le varie forze politiche. Il risultato è che il telespettatore non acquisisce alcun dato obiettivo, perché recepisce un insieme di opinioni necessariamente discordanti. Ciò è la conseguenza di una arbitraria applicazione della par condicio all’informazione, nonostante essa sia normativamente prevista solo per la comunicazione politica (la problematica è compiutamente affrontata in La par condicio).

Ed è appena il caso di precisare che programmi come Porta a Porta, Ballarò, AnnoZero, Otto e Mezzo, sarebbero in origine programmi di approfondimento informativo (per la verità, AnnoZero rimane tale). I programmi di comunicazione politica sono altri, ossia quelli tassativamente indicati dalla L. n. 28/2000 nonché dalla Commissione Parlamentare di Vigilanza e dall'Authority: i messaggi autogestiti e le tribune.

Invece, nei programmi di approfondimento informativo la conduzione dovrebbe essere ben diversa. Qui il giornalista conduttore produce informazione. E’ lui a comunicare con il pubblico, dovendo relazionarlo al fatto che il programma si propone di approfondire. E’ il protagonista della trasmissione, alla stessa stregua dei politici invitati, che partecipano per rispondere alle domande che il giornalista conduttore pone loro per garantire al pubblico l’approfondimento. Egli è parte del contraddittorio.

Ed ecco che spesso il termine “fazioso” viene affibiato proprio a quei giornalisti che rivendicano un ruolo attivo nella conduzione del programma, che partecipano al contraddittorio ponendo ai politici precise domande ed esigendo risposte che consentirebbero al telespettatore di acquisire il fatto. In molti casi il soggetto politico si irrita, incapace di realizzare che si trova in un programma non di comunicazione politica, ma di approfondimento informativo, in cui il giornalista conduttore è parte essenziale del contraddittorio, deve relazionare il pubblico al fatto e ricercare la verità oggettiva.

Si ricorderà lo scontro verbale tra Michele Santoro e Clemente Mastella alla puntata di AnnoZero dell’8 marzo 2007 sulle coppie omosessuali, dopo che il ministro della Giustizia sostenne che l’idea di estendere alle coppie omosessuali i diritti delle famiglie fondate sul matrimonio è inaccettabile perché contraria al Diritto Naturale. A quel punto Santoro chiedeva a Mastella se le legislazioni di quasi tutti i paesi Ue, prevedendo una simile estensione, fossero contrarie al Diritto Naturale. La domanda provocava la reazione di Mastella, che non esitò a dare del “fazioso” a Santoro, nonostante questi abbia voluto soltanto stimolare il ministro a fornire un chiarimento logico a quella evidente contraddizione.

Il paradosso è che in questi casi il giornalista conduttore viene tacciato di “faziosità” nonostante il comportamento sia strettamente funzionale al dovere di verità, il più pregnante dei doveri deontologici e caposaldo del diritto di cronaca. E nonostante sia invece la conduzione di un programma di approfondimento informativo alla stregua di programma di comunicazione politica a tradursi nella violazione di quel dovere, poiché in tal caso il giornalista conduttore rinuncia ad assumere un ruolo funzionale all’accertamento della verità.

Quindi, nell’ottica di molti politici, il “fazioso” non è chi mente per curare interessi di parte (come peraltro è per natura il politico stesso), ma il giornalista che rivendica il ruolo attivo di parte del contraddittorio con i politici, eventualmente scontrandosi con essi, sforzandosi di fare emergere la verità e rifiutando di ridurre l’informazione ad una sommatoria di valutazioni “di parte” che, essendo necessariamente divergenti, mantengono il telespettatore lontano dalla verità.

Inoltre, il giornalista che mette alle strette un politico per fare chiarezza non viene meno ai doveri di imparzialità solo perché l’area politica cui appartiene l’intervistato viene danneggiata dall’accertamento della verità. Tantomeno va considerato “fazioso” quando l’accertamento della verità fa comodo allo schieramento politico avverso. Il giornalista che fa emergere la verità non cura gli interessi di alcuna fazione, ma soltanto quelli della collettività.

E’ quindi evidente come nella maggior parte dei casi l’uso del termine “fazioso” sia fuori luogo. Ormai, nell’usanza di molti politici italiani l’accusa di “faziosità” viene rivolta al giornalista che, in piena osservanza dei precetti deontologici, si ostina a negare al potere politico la possibilità di modulare l’informazione. Possibilità che in un sistema democratico non andrebbe nemmeno presa in considerazione. Pertanto, un tale uso dell’aggettivo “fazioso” integra gli estremi del reato di diffamazione.

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