Il disegno di legge
contro il cyberbullismo:
bandiamo ogni allarmismo

Bologna, 22 settembre 2016

(avv. Antonello Tomanelli)

Ripassa al Senato, per la sua definitiva approvazione, il disegno di legge denominato “Disposizioni per la prevenzione e il contrasto dei fenomeni del bullismo e del cyberbullismo”. E’ il tentativo di arginare una piaga sociale, che non di rado porta individui in uno stato di autentica disperazione, fino alle estreme conseguenze. Non ci si può certo illudere che questo disegno di legge arriverà a risolvere il problema. C’è ancora molta strada da fare. Ma certamente un passo avanti è stato compiuto.

La legge esordisce all’art. 1, comma 1°, dichiarando il proprio scopo: “La presente legge è volta a prevenire e contrastare i fenomeni del bullismo e del cyberbullismo in tutte le loro manifestazioni”. Scopo che viene chiaramente enunciato nel titolo della legge stessa. E’ questo un particolare di grande importanza, da tenere ben presente per quel che si dirà successivamente.

La legge fornisce le nozioni di bullismo e di cyberbullismo, delimitando cosi il suo ambito di operatività. Per bullismo deve intendersi “l’aggressione o la molestia reiterate, da parte di una singola persona o di un gruppo di persone, a danno di una o più vittime, anche al fine di provocare in esse sentimenti di ansia, di timore, di isolamento o di emarginazione, attraverso atti o comportamenti vessatori, pressioni e violenze fisiche o psicologiche, istigazione al suicidio o all’autolesionismo, minacce o ricatti, furti o danneggiamenti, offese o derisioni, anche aventi per oggetto la razza, la lingua, la religione, l’orientamento sessuale, l’opinione politica, l’aspetto fisico o le condizioni personali e sociali della vittima” (art. 1, comma 2°).

Il cyberbullismo è definito come “qualunque comportamento o atto, anche non reiterato, rientrante fra quelli indicati al comma 2° e perpetrato attraverso l’utilizzo della rete telefonica, della rete internet, della messaggistica istantanea, di social network o altre piattaforme telematiche”. Non solo. E’ cyberbullismo anche “la realizzazione, la pubblicazione e la diffusione on line attraverso la rete internet, chat room, blog o forum, di immagini, registrazioni audio o video o altri contenuti multimediali, effettuate allo scopo di offendere l’onore, il decoro e la reputazione di una o più vittime, nonché il furto di identità e la sostituzione di persona operati mediante mezzi informatici e la rete telematica al fine di acquisire e manipolare dati personali, ovvero di pubblicare informazioni lesive dell’onore, del decoro e della reputazione della vittima” (art. 1, comma 2° bis).

Su questa legge si è già abbattuta una caterva di critiche. Alcune sensate, altre molto meno. Si è arrivati a definirla addirittura una legge “che tende ad allontanare le critiche”, una legge che cerca “volontariamente di depotenziare la libertà di espressione del nostro Paese”.

E’ quindi giusto tentare di fare chiarezza, anche solo per sgomberare il campo da timori infondati ed inutili (se non pericolosi) allarmismi.

Il primo comma dell’art. 1 si occupa del bullismo. Per intenderci, quello reale. Sulla formulazione della norma è inutile soffermarsi. La fattispecie è chiaramente delineata, comprendendo comportamenti di cui tutti noi leggiamo sugli organi di informazione con cadenza pressoché quotidiana. Un particolare di grande importanza, soprattutto per meglio capire ciò che si dirà dopo: il destinatario del comportamento “bullista” è identificato dalla norma come vittima. Giova ripeterlo: vittima.

Ciò che ha scatenato le critiche (come si vedrà infondate) è la definizione di cyberbullismo, contenuta nel comma 2° bis. Nella prima parte della norma viene, in sostanza, specificato che è cyberbullismo ogni comportamento “bullista” manifestato attraverso internet. Con la differenza che qui non è richiesta la condotta reiterata che caratterizza il bullismo (per intenderci) reale. Basta quindi un solo atto. Ed è sulla singolarità della condotta bullista, ritenuta sufficiente a far scattare le sanzioni (obbligo del gestore del sito di azzerare immediatamente la condotta illecita con la cancellazione di ogni dato, pena il ricorso al Garante della Privacy), che si sono concentrate molte critiche, che vedono la soluzione come un attentato alla libertà di pensiero.

Ma quale libertà di pensiero? Da quando in qua l’insulto, il dileggio, lo svilimento di una persona finalizzati a mortificarla rientra nella libertà di pensiero? Inoltre, è perfettamente logico ritenere sufficiente una singola condotta, se dotata di quella gravità che esige la norma, quando si agisce nella cosiddetta blogosfera. Se il dileggio e gli insulti indirizzati allo scolaro mentre sale le scale che lo conducono alla classe rimane confinato in quel perimetro e, soprattutto, in quei pochi istanti, non altrettanto può dirsi dei singoli messaggi inviati in qualche forum o su Facebook, che nel giro di pochi minuti possono, a seconda dell’oggetto, propagarsi in un mondo che conta milioni di utenti e rimbalzare per mesi.

Chi vede, poi, in questa legge un attentato alla libertà di critica, è mosso dalla preoccupazione di vedere censurati quelli che potrebbero essere semplici attacchi a personalità politiche o, in generale, personaggi pubblici, sul presupposto che chiunque (quindi anche un politico) potrebbe sentirsi vittima di bullismo e, nell’invocare la norma, imporre al gestore di un sito l’azzeramento delle supposte condotte illecite.

Niente di più infondato. La legge in questione non protegge chiunque, ma la classica vittima. Non a caso la norma identifica il destinatario della tutela proprio con questo termine. Vale a dire, l’illustre sconosciuto (o sconosciuta) che a causa della cattiveria e della stupidità di una o più persone, diventa in breve e suo malgrado un personaggio pubblico nella piattaforma telematica in cui abitualmente opera. Un personaggio dalla dimensione pubblica poco invidiabile.

Ciò premesso, non si capisce come si possa pensare, per citare esempi apparsi qua e là, che un politico potrebbe invocare la tutela approntata da questa legge per far eliminare commenti apparsi in rete e a lui sgraditi. Né come si possa immaginare che un politico, o comunque un personaggio (già) pubblico, possa con successo costringere il gestore di un sito a rimuovere una vignetta satirica poco tenera nei suoi riguardi, adducendo che anche una sola (non reiterata) condotta a lui sgradita può costituire cyberbullismo.

In realtà, tale legge è stata pensata solo ed esclusivamente per tutelare poveri disgraziati come Tiziana Cantone, la ragazza suicidatasi perché qualcuno aveva caricato in rete alcuni video privatissimi in cui si esibisce in performance sessuali, e la cui tutela è arrivata troppo tardi, perché già diventata suo malgrado un personaggio pubblico.

Certo, ciò non significa che un politico o, in generale, un personaggio pubblico non potrebbero invocare la tutela prevista da questa nuova legge. Se un noto personaggio viene attaccato sulla base di notizie riguardanti la sua sfera privata, distinta da quella pubblica, ben potrà considerarsi vittima di cyberbullismo. Non solo la sconosciuta studentessa, ma anche la famosa giornalista potrà imporre la cancellazione di ogni dato personale da un sito, se riguardanti fatti privati che, come tali, non concorrono a caratterizzare la sua dimensione pubblica. Ma mai e poi mai potrà chiedere di cancellare una vignetta satirica che ironizzasse, ad esempio, sul suo modo di condurre una trasmissione televisiva, così come il presidente del Consiglio non potrà mai esigere la cancellazione di un articolo che elenca (o una vignetta che ironizza su) tutte le promesse da lui fatte e non mantenute, sul presupposto di una lesione della sua reputazione.