Cattolica di Milano:
concorso nel reato
di apologia del fascismo

Bologna, 13 ottobre 2008

(avv. Antonello Tomanelli)

Dal 7 ottobre dieci manifesti del Comitato universitario iniziative di base (Cuib), vicino a “Forza Nuova”, campeggiano all’interno dell’Università Cattolica di Milano. La maggior parte di essi si limita a propagandare i soliti slogan della destra radicale. Negli altri, invece, dilagano le croci celtiche. Fra questi, uno che colpisce per il suo inequivocabile significato. Ritrae un drappello di camice nere dell’epoca e reca la scritta “8 settembre 1943. Arrendersi? Mai!”. Il tutto incredibilmente autorizzato con tanto di timbro dalla direzione dell’Ateneo.

Non c’è dubbio che buona parte di quei manifesti realizza la fattispecie del reato di “apologia del fascismo”. Questo reato fu inizialmente introdotto dalla L. n. 645/1952 (cosiddetta “legge Scelba”), che si limitava però a colpire i comportamenti apologetici finalizzati alla ricostituzione del disciolto partito fascista. Poi è intervenuta con maggiore severità la L. n. 205/1993 (cosiddetta “legge Mancino”), che colpisce le mere esaltazioni del fascismo. Da un lato, modificando l’art. 4, comma 2° della legge Scelba, punisce (con la reclusione da uno a tre anni e l’interdizione dai pubblici uffici per un periodo di cinque anni) “chi pubblicamente esalta esponenti, principi, fatti o metodi del fascismo, oppure le sue finalità antidemocratiche”. Dall’altro, prevede la stessa pena per chi “in pubbliche riunioni compia manifestazioni esteriori od ostenti emblemi o simboli propri o usuali delle organizzazioni, associazioni, movimenti o gruppi di cui all’art. 3 della legge 13 ottobre 1975 n. 654” (art. 2, comma 1°), ossia quelli che hanno tra i propri scopi “l’incitamento alla discriminazione o alla violenza per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi”.

Ciò significa che ben note manifestazioni come fare il saluto romano, gridare “viva il duce!”, cantare “faccetta nera”, costituiscono apologia del fascismo. Ma anche esporre le croci celtiche, contrariamente a quanto sostenuto da chi vede in esse soltanto un simbolo religioso. Se è vero che la croce celtica è un simbolo religioso, è anche vero che storicamente è stata adottata da tutti quei movimenti e partiti di estrema destra (compreso quello che nella Francia di Vichy giurò fedeltà alla Germania nazista) che propagandano idee fondate sulla superiorità razziale. Non c’è dubbio, quindi, che l’esibizione della croce celtica, rientrando tra quei simboli la cui ostentazione viene dalla legge Mancino ricondotta alla finalità della discriminazione razziale, realizza il reato di apologia del fascismo.

Ben poco da dire, invece, sul manifesto che ritrae un drappello di camice nere dell’epoca e recante la scritta “8 settembre 1943. Arrendersi? Mai!”, in evidente riferimento alla data in cui il generale Badoglio annunciò la resa dell’Italia. Qui l’apologia del fascismo si concreta nell’elogio di chi in quel frangente decise di rimanere fedele al regime ormai allo sbando mettendosi a disposizione dell’invasore nazista.

Nella vicenda di Milano spicca il comportamento tenuto dalla direzione dell’Università Cattolica, che ha incredibilmente autorizzato l’affissione di quei manifesti apponendovi il proprio timbro. Goffa la giustificazione addotta dalla Direzione, secondo cui “Il contenuto di quei manifesti non esprime le posizioni dell’ateneo ma quelle degli studenti, che hanno la piena libertà di affissione purché il contenuto dei manifesti non sia offensivo o penalmente rilevante”. Come appena visto, quel contenuto è penalmente rilevante eccome! Tecnicamente, chi ha di persona consentito l’affissione di quei manifesti è concorso nel reato di apologia del fascismo.

Va inoltre chiarito un aspetto. Esponenti del Cuib, nel tentativo di sostenere la legittimità di quei manifesti, dicono che “le croci celtiche non sono vietate, tranne che allo stadio”.

Non è affatto così. La già citata legge Mancino, nel voler porre un freno al dilagante fenomeno delle croci celtiche negli stadi, ha inserito all’art. 2, comma 2°, la seguente disposizione: “E’ vietato l’accesso ai luoghi dove si svolgono competizioni agonistiche alle persone che vi si recano con emblemi o simboli di cui al comma 1°. Il contravventore è punito con l’arresto da tre mesi a un anno”.

Ciò significa che chi viene pescato all’entrata di uno stadio mentre nasconde sotto i propri vestiti una bandiera con sopra una croce celtica, gli viene negato l’accesso e scatta la sanzione penale, anche se evidentemente quel simbolo non lo ha ancora ostentato. In altre parole, l’essere sorpreso all’ingresso degli stadi in un momento antecedente l’ostentazione del simbolo è sufficiente a far scattare quella sanzione penale che in qualsiasi altro luogo pubblico, sempre per effetto della legge Mancino, opera solo se quel simbolo viene esteriorizzato.