Fake follower:
Salvini querela Sarubbi.
Ma la diffamazione non c'è

Bologna, 16 marzo 2015

(avv. Antonello Tomanelli)

Ormai tutte le personalità politiche, si sa, utilizzano Twitter, uno straordinario strumento per la circolazione di slogan ad effetto. Ma, tecnicamente, su Twitter è semplice creare follower fittizi, ossia account appositamente creati per retwittare (in gergo: RT) i messaggi inviati da quei following che hanno interesse a mostrarsi acclamati sul social network. Il follower che retwitta non fa altro che inoltrare a tanti altri il messaggio originato dal following, fornendo così a tutti l’impressione di un interesse di massa verso il following stesso. Esistono dei programmi, a pagamento e gestiti da agenzie di comunicazione, che creano automaticamente i follower e che, di conseguenza, consentono automaticamente, ossia senza interazione umana, i cosiddetti RT.

Una pratica non illegale, ma nemmeno correttissima, poiché così facendo il personaggio dà l’impressione di essere amatissimo e seguitissimo, quando in realtà non è così, proprio perché dietro quei tanti follower che retwittano in realtà non c’è nessuno. Perlomeno, non un essere umano. Molto spesso sono riconoscibili perché identificati da un ovetto bianco, mentre nella maggior parte dei casi l’essere umano che sta dietro un account di Twitter appone una propria fotografia, bella o brutta che sia, che appare accanto ad ogni tweet.

E’ il sospetto che da tempo aleggia intorno alla figura di Matteo Salvini, segretario federale della Lega Nord, che proprio su Twitter è ufficialmente tra i maggiori following.

Tutto incomincia con la campagna elettorale delle elezioni europee del 25 maggio 2014, quando il giovane deputato organizza sul proprio sito quella che l’ottimo Guido Scorza denomina “chiamata alle armi del popolo leghista”. Per garantire la massima circolazione dei propri slogan, Salvini struttura ad hoc l’home page intitolando a caratteri cubitali l’iniziativa: “HO BISOGNO DI TE! Partecipa anche tu alla campagna sui social”. E spiega nel dettaglio: “Se hai già un account Twitter, compila il campo ‘tua email’, clicca sul pulsante ‘registrati con Twitter’ e segui le istruzioni a schermo. Una volta completata la registrazione, il tuo profilo retwitterà automaticamente i tweet di Matteo Salvini (@matteosalvinimi)!”.

Si badi bene: avverte che il profilo così generato “retwitterà automaticamente i tweet di Matteo Salvini”. E, come sottotitolo, campeggia in stampatello la scritta “DIVENTA PORTAVOCE DI MATTEO SU TWITTER!”. Si badi bene: PORTAVOCE. Un particolare, come si vedrà, di grande importanza per una soluzione del caso di specie.

Alcuni mesi dopo le elezioni, su diversi siti si incomincia a parlare di questo straordinario seguito che Matteo Salvini ha su Twitter. Ma, soprattutto, dei post di Salvini con un numero di retweet sempre molto simile di numero, spesso addirittura eguale. Secondo gli esperti del settore, è un segno inequivocabile che gran parte di quei follower sono fasulli, ossia generati automaticamente, senza che dietro di essi ci sia un leghista o, quantomeno, un simpatizzante di Salvini.

La notizia gira sul web e arriva alle orecchie del giornalista Andrea Sarubbi, parlamentare Pd, che evidentemente da un po’ tiene d’occhio i “seguaci” di Salvini su Twitter, e che il 18 ottobre 2014 posta il seguente messaggio: “Ehi @matteosalvinimi, ma @adelina55 @binda47 @canetora @bottaciov1 e gli altri fake che ti RT li paghi di tasca tua o con i soldi pubblici?” (RT sta per “retwittano”, ossia inoltrano alla massa).

Salvini la prende nel peggiore dei modi, querelando Sarubbi per diffamazione. La notizia è data dallo stesso Sarubbi, che sul proprio account Twitter posta il 13 marzo scorso il seguente messaggio: “Un signore che vorrebbe governare l’Italia mi ha denunciato per diffamazione, per un tweet sui suoi follower ovetti”, in evidente riferimento al segno che compare spesso accanto ai retweet riferibili a Salvini e, in generale, di sospetta provenienza.

Ciò che Salvini non ha digerito è evidente. Con quel post Sarubbi ha ingenerato nel pubblico il dubbio che Salvini “dopi” il proprio indice di gradimento attraverso la creazione di falsi follower, con l’ausilio di esperti pagati con i soldi pubblici, ossia con i soldi del finanziamento pubblico ai partiti. Sistema che, come è noto, sarà definitivamente abolito soltanto a partire dal 2017.

Non c’è dubbio che Sarubbi con quel tweet ha esercitato una critica, anche se strutturata in una domanda. E’ inutile girarci intorno: Sarubbi ha contestato a Salvini di gonfiare le sue “preferenze” su Twitter, ricorrendo al noto metodo della creazione di follower artificiali, pagando il tutto con i soldi destinati alla Lega dal finanziamento pubblico. Ma è una critica lecita o illecita? Ha ragione Salvini a sentirsi leso nella propria reputazione, tanto da chiedere allo Stato di condannare Sarubbi per diffamazione e al risarcimento dei danni?

La risposta è no. Perché Sarubbi ha esercitato il diritto di critica.

Il diritto di critica poggia su basi diverse da quelle che reggono il diritto di cronaca. La cronaca è narrazione, rappresentazione obiettiva di fatti (realmente accaduti). A differenza della cronaca, la critica non informa, ma esprime un giudizio, una valutazione di fatti già acquisiti, con l’intenzione di evidenziare una contrapposizione, un dissenso. La critica vuole mettere a nudo la falsità e gli errori altrui. La critica è fondamentalmente un attacco.

Ma proprio perché si tratta di valutazione, di giudizio, l’attacco in cui si sostanzia la critica non deve essere necessariamente ancorato a dati fattuali oggettivamente veri. Ad esempio, con riferimento ad un sindaco rinviato a giudizio per peculato, se un giornalista, nell’esercizio del diritto di cronaca, deve attenersi, senza forzature linguistiche, a quanto sostanzialmente risulta dagli atti giudiziari, un avversario politico ben può esortarlo a vergognarsi e accusarlo di aver rubato i soldi della collettività e di chi l’ha votato.

Ed è proprio ciò che ha fatto Andrea Sarubbi con Salvini. A ben vedere, non tanto per le insistenti voci che già da tempo circolano sugli artefatti profili twitter che sostengono le campagne del nuovo leader della Lega Nord. E’ lo stesso Salvini, per come ha organizzato la raccolta di adesioni sul proprio sito in occasione delle elezioni europee del 25 maggio 2014, a conferire legittimità alla critica di Sarubbi. Sul sito è testuale l’invito, rivolto al quisque de populo, a farsi portavoce (giova ripeterlo: portavoce) di Matteo Salvini creando immediatamente un account twitter che “retwitterà i tweet di Matteo Salvini”. In altre parole, chi aderisce col proprio account a quello di Matteo Salvini retwitterà automaticamente i messaggi postati da Salvini.

Il portavoce è colui che riferisce la volontà del capo, senza spazi di discrezionalità o di interpretazione. E’ colui che segue il capo dovunque e comunque. E’ il suo follower, retribuito proprio per questo. Non può quindi essere considerata una falsità, tanto da uscire dai binari della critica legittima, l’affermare che Salvini paga i follower di Twitter, dopo che da lui stesso sono stati nominati “portavoce” attraverso una sorta di offerta pubblica lanciata dal proprio sito.