I PROGRAMMI DI INTRATTENIMENTO

Fin dalla emanazione della prima legge sulla par condicio (la L. n. 515/1993, poi modificata dalla L. n. 28/2000 attualmente in vigore) la regolamentazione dell’accesso dei soggetti politici ai mezzi di comunicazione ha riguardato anche i cosiddetti programmi di intrattenimento. La definizione di “programma di intrattenimento” si ricava per esclusione: sono tali tutte quelle trasmissioni che non rientrano né nei programmi di informazione né in quelli di comunicazione politica.

L’art. 5, comma 4°, L. n. 28/2000, nel periodo che va dalla convocazione dei comizi elettorali alla chiusura delle operazioni di voto, vieta tassativamente la presenza “di candidati, di esponenti di partiti e movimenti politici, membri del Governo, delle Giunte e Consigli regionali e degli enti locali” sia nei programmi informativi non riconducibili alla responsabilità di una testata giornalistica, sia nei programmi di intrattenimento.

La norma è chiara. Si vuole evitare che personaggi politici, in periodo elettorale, approfittino degli spazi offerti all’interno di tali programmi per rinforzare il loro rapporto con gli elettori, inviando messaggi di comunicazione politica, anche impliciti o subliminali, al di fuori delle regole e in assenza di qualsiasi contraddittorio. Ma l’applicazione della norma risulta alquanto complessa.

Si ricorderanno i casi di Blob e Blu notte, quando l’allora direttore generale della Rai Flavio Cattaneo, con l’inizio della campagna elettorale per le elezioni europee ed ammnistrative del 2004, emanò un provvedimento che vietava a Blob di mandare in onda immagini di politici, e sopprimeva a poche ore dalla messa in onda una puntata di Blu notte di Carlo Lucarelli intitolata “La mattanza”, che trattava di mafia e conteneva alcune interviste registrate di politici. La motivazione addotta da Cattaneo, suggerita dall’Ufficio Legale Rai, fu che “trattasi di trasmissioni non riconducibili alla responsabilità di una testata giornalistica”, come si esprime l’art. 5, comma 4°, L. n. 28/2000. Pertanto, in periodo di campagna elettorale non potevano mandare in onda immagini di politici.

La decisione è errata, poiché si basa sulla indiscriminata equiparazione dell’immagine di un politico alla sua “presenza”, vietata dall’art. 5, comma 4°, L. n. 28/2000 nei programmi di intrattenimento durante la campagna elettorale.

Lo scopo di questa norma è impedire che i soggetti politici utilizzino spazi televisivi ulteriori rispetto a quelli che la legge riserva loro in campagna elettorale in condizioni di parità, sul presupposto che la loro presenza produce sempre gli effetti di un messaggio di comunicazione politica. E questa va attuata solo attraverso i contenitori confezionati dalla legge (tribune e messaggi autogestiti).

Ora, la “presenza” che la norma vieta è quella idonea ad ottenere effetti simili a quelli prodotti attraverso i suddetti contenitori. Un politico che durante la campagna elettorale viene, a qualsiasi titolo, ospitato in una qualsiasi trasmissione, instaura certamente una comunicazione con gli elettori. Stessa cosa se la trasmissione organizza un collegamento video con il politico. Ma, in effetti, anche la messa in onda della sua immagine, pur riferita ad un diverso contesto spaziale e temporale, come quando si trasmette un’intervista registrata, può, oltre certi limiti, sortire lo stesso effetto. Il problema è individuare quei limiti, oltre i quali l’immagine diventa “presenza” facendo così scattare il divieto contenuto nell’art. 5, comma 4°, L. n. 28/2000.

La soluzione va rinvenuta nel rapporto tra l’immagine mandata in onda e la trasmissione. Se l’immagine incide in maniera determinante sul suo contenuto, il contesto spaziale resta il medesimo, l’immagine diventa “presenza” e la sua messa in onda è quindi funzionale alla comunicazione politica: si ha lo stesso effetto di un collegamento video con il politico. Se invece il ruolo svolto dall’immagine è marginale, l’immagine rimane collocata in un contesto spaziale diverso da quello di chi conduce la trasmissione: qui la sua messa in onda risulta funzionale esclusivamente all’oggetto e ad una migliore conduzione del programma, ed esclude che si instauri un rapporto tra politico e telespettatori.

Nel caso di Blu notte vi erano alcune interviste di politici sul problema della mafia (tra cui Violante e Andreotti) della durata di qualche decina di secondi, inserite in un programma lungo più di un’ora. Nel caso di Blob venivano trasmesse alcune immagini di Berlusconi, senza che il politico costituisse il “tema” della trasmissione, come spesso fa Blob. Improprio, dunque, equiparare quelle immagini a “presenze”, non essendo idonee a produrre gli effetti della comunicazione politica.

Quanto finora detto riguarda il periodo elettorale. Tuttavia, la Commissione Parlamentare di Vigilanza (e a seguire l’Authority) ha imposto cautele anche per il periodo non elettorale. L’art. 2 del Provvedimento 11 marzo 2003 ha stabilito che “La presenza di esponenti politici nei programmi di intrattenimento, quando è frequente e abituale, alimenta la sensazione che il carattere pubblico del servizio consista nella simbiosi con la politica. Va quindi normalmente evitata e deve – comunque – trovare motivazione nella particolare competenza e responsabilità degli invitati su argomenti trattati nel programma stesso”.

La disposizione è condivisibile, a patto che il concetto di “presenza” venga inteso come sopra. Riconducendo la presenza del politico ad una sua particolare competenza sul tema trattato dalla trasmissione, si lega la sua partecipazione ad un’esigenza informativa, impedendo, in linea di principio, che la sua apparizione abbia finalità di comunicazione politica. Tuttavia, è quanto la disposizione prescrive subito dopo a lasciare perplessi.

L’art. 2, infatti, prosegue stabilendo che la partecipazione del politico comunque “configura una finestra informativa nell’ambito del programma di intrattenimento alla quale si applica dunque la raccomandazione precedente”. La “raccomandazione precedente” è quella contenuta nell’art. 1, che impone “la pluralità dei punti di vista e la necessità del contraddittorio” in tutti i programmi di informazione, compresi i telegiornali.

A ben vedere, la norma contiene un imbarazzante lapsus, che dimostra in chi l’ha formulata una concezione dell’informazione subordinata alla politica. Si concepisce il sorgere di una “finestra informativa” solo quando è invitato un politico, sul presupposto che una persona estremamente competente sul tema oggetto della puntata, ma che non è un politico, non produce informazione.

E’ l’aberrante conseguenza di una aprioristica applicazione della par condicio all’informazione, che rischia di produrre conseguenze quantomeno grottesche, creando altresì non poche difficoltà al conduttore della trasmissione. Questo, infatti, se in una puntata che verte sul cancro decide di invitare un oncologo di chiara fama eletto in parlamento, è costretto a cercarsi un altro oncologo, anche lui parlamentare ma eletto nell’opposto schieramento. Col rischio o di non poter chiamare nessuno perché magari non esistono due oncologi di chiara fama eletti in liste contrapposte, o di dover ripiegare su un oncologo qualsiasi, però parlamentare, la cui appartenenza allo schieramento opposto a quello del luminare garantirebbe il rispetto della par condicio, ma che verrebbe posto sullo stesso piano del luminare quanto a diritto di parola e credibilità. In entrambi i casi, a rimetterci sarebbe la completezza dell’informazione su un tema di indubbio interesse pubblico. Ulteriore prova che il concetto di par condicio è inapplicabile all’informazione.

Inoltre, quella che le prescrizioni imposte dalla Commissione Parlamentare di Vigilanza considerano “finestra informativa”, qui aperta in un programma che per natura non produce informazione, verrebbe gestita da un soggetto che nella stragrande maggioranza dei casi non è nemmeno un giornalista. Un soggetto, cioè, che non risulta vincolato, neppure da un punto di vista deontologico, ai doveri di obiettività, completezza ed imparzialità cui è improntata l’attività del giornalista.

Sono sostanzialmente identiche alle prescrizioni imposte per la Rai dalla Commissione Parlamentare di Vigilanza, quelle dettate dall’Authority con riferimento alle emittenti private, contenute nell’art. 3 della Delibera n. 22/06.