LA CRITICA SCIENTIFICA

L’art. 21 Cost. garantisce la libertà di manifestazione del pensiero. La tutela abbraccia qualsiasi campo della conoscenza. Ne deriva che la disposizione costituzionale tutela anche la libertà di manifestazione del pensiero scientifico.

La tutela assume importanza nella competizione scientifica, dove ogni scienziato cerca di imporre la validità delle proprie teorie. Anche qui va riconosciuto il diritto di critica, poiché stimola la dialettica e arricchisce il dibattito su temi di indubbio interesse pubblico. Ma è naturale che anche la critica scientifica debba sottostare ad alcuni limiti, a tutela dell’onore e della reputazione degli scienziati ai quali è diretta.

Tuttavia, la problematica della critica scientifica presenta indubbie particolarità, derivanti dalla presenza, nella nostra Costituzione, dell’art. 33, che sancisce, senza limiti e condizioni, il principio della libertà di scienza. Per quel che qui interessa, libertà di scienza significa che non esiste una scienza “ufficiale”. Lo Stato, cioè, riconosce validità e dignità a qualsiasi disciplina scientifica. Nessuna scienza è vera o falsa, né esistono fonti ufficiali su cui basare la critica. In altre parole, a differenza di quanto accade negli altri tipi di critica, la critica scientifica non si esprime su un “fatto” la cui esistenza è verificabile, ma su una teoria.

Di conseguenza, ciascuno scienziato avrà il diritto di sostenere, con argomentazioni razionali, la validità delle proprie teorie e l’infondatezza di quelle altrui. Ma la critica non potrà rinvenire la propria legittimità sulla verità o sulla falsità delle teorie rispettivamente propugnate. Se lo scienziato Tizio cita in giudizio il collega Caio perchè quest’ultimo ha affermato che le sue teorie scientifiche sono ridicole, il giudice non potrà accertare quale delle due scienze è “vera”. La “verità” di una tesi scientifica non può formare oggetto di perizia (che è il procedimento tipico attraverso cui si appura la verità), poiché non esiste una scienza ufficiale. Ogni conclusione elaborata secondo un metodo scientifico non è né vera né falsa, bensì libera ex art. 33 Cost.

Che è poi la stessa cosa che si verifica in riferimento alla critica artistica, dato che l’art. 33 Cost. sancisce espressamente la libertà dell’arte al pari della scienza. Non esiste un’arte ufficiale, un’arte vera, come non esiste un’arte “bella” o “brutta”. Se l’artista Tizio cita in giudizio Caio perché quest’ultimo ha detto pubblicamente che le sue opere fanno schifo, il giudice non potrà stabilire se Caio dice la verità. Non potrà, cioè, nominare un perito perché stabilisca se l’arte di Tizio è brutta. Una volta appurato che le opere di tizio sono “arte”, dovrà valutare il comportamento di Caio sotto altri aspetti.

Non essendo concepibile una verità, la valutazione della legittimità della critica scientifica si sposta interamente sul requisito della continenza formale. E ciò che conta, oltre naturalmente al linguaggio adoperato, è soprattutto l’argomentazione. Uno scienziato potrà attaccare l’attività di un collega anche aspramente, ma motivando la validità delle proprie teorie e l’infondatezza di quelle altrui con il ragionamento.

Ma nella critica scientifica il concetto di argomentazione va concepito in maniera diversa rispetto a quanto accade negli altri tipi di critica, proprio per l’impossibilità di fare riferimento ad una preesistente “verità”. Negli altri tipi di critica alla base di tutto vi è un dato obiettivo (un fatto, o un insieme di fatti, o un comportamento umano) sul quale si innesta il giudizio del critico e consente di verificarne la legittimità attraverso la sua aderenza alla realtà. Nella critica scientifica quel dato obiettivo non esiste. La critica scientifica è rivolta ad una teoria, che per l’art. 33 Cost. ha la stessa dignità di quella propugnata dal critico, ma che per il suo pensiero non ha titolo di esistere in quanto errata. La critica scientifica mira a cancellare l’avversa teoria.

Di conseguenza, il critico scientifico, nell’esprimere il proprio (anche aspro) giudizio sulla altrui posizione scientifica, dovrà richiamare, sia pure sommariamente, i fondamenti della teoria avversa, creando idealmente la situazione che si verifica negli altri tipi di critica, dove l’oggetto su cui verte la critica è necessariamente richiamato in quanto preesistente. La critica scientifica che si limitasse a negare validità alle altre teorie senza richiamarle e senza adeguatamente motivare la loro infondatezza non sarebbe legittima per violazione del requisito della continenza formale, in quanto non esposta correttamente.

Naturalmente il critico scientifico, nel richiamare l’avversa teoria, dovrà esporla così come formulata dal fautore. Non potrà attribuire ad essa circostanze non vere per minarne la scientificità e per screditarla. Per fare un esempio, se un nuovo e complesso procedimento scientifico si basa sul riscaldamento di un gas ad una temperatura di 1000°C, il critico non potrà indicare falsamente che quel gas viene riscaldato a 200°C, facendo così leva sulla temperatura eccessivamente bassa per sostenere la fallibilità del procedimento, se per ipotesi vige una legge fisica che attribuisce a quel gas scarsissime proprietà quando è portato ad una temperatura inferiore ai 300°C.

Tuttavia, nemmeno qui si può parlare di violazione del requisito della verità, che non può riguardare la teoria in sé (per l’art. 33 Cost. una teoria scientifica non può essere “vera”). Qui la falsità riguarda soltanto un presupposto su cui si basa la teoria libera e che il critico strumentalizza per sostenere l’infondatezza scientifica della teoria stessa. Pertanto, si è sempre nel campo della correttezza della esposizione, quindi della continenza formale.

Quanto detto ha applicazioni interessanti nell’informazione televisiva. Generalmente non si può negare il diritto di critica al conduttore di un programma di approfondimento informativo, essendo la notizia già acquisita. La critica è sempre lecita, se il conduttore nell’esprimerla si basa sulla verità dei fatti (ormai acquisiti) nel rispetto della continenza formale. Ma le cose mutano in un programma di approfondimento informativo scientifico. Qui la critica è condizionata dalla mancanza di un “fatto”, di una “verità” su cui innestare la critica. Di conseguenza, dovrà dare ai fautori della teoria oggetto di critica la possibilità di rappresentarla come se fosse un fatto acquisito, una verità; e su di essa esprimere il giudizio critico, ristabilendo così la situazione tipo della critica. Senza questa possibilità, l’“attacco” ad una teoria scientifica è illegittimo per violazione del requisito della continenza formale.

Di conseguenza, la legittimità della critica scientifica in ambito televisivo richiede accorgimenti che per le altre aree della critica non sono necessari. Uno di questi è la par condicio. Generalmente, alla violazione della par condicio può al massimo conseguire un provvedimento dell’Autorità per la Garanzia nelle Comunicazioni, o un provvedimento disciplinare ai danni del giornalista conduttore. Mai, invece, una sentenza di condanna per diffamazione. Invece, nella critica scientifica il non dare ai fautori della teoria oggetto di critica la possibilità di rappresentarla si sostanzia nella violazione del requisito della continenza formale, con conseguente possibilità di fondare su tale violazione una condanna, qualora si rinvenissero gli estremi di un fatto illecito ai danni dei sostenitori della teoria che la trasmissione ha messo sotto accusa.

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