Uno 'sgarbo' a D'Alema

Nel corso della trasmissione televisiva “Sgarbi quotidiani” in onda su Canale5 il 4 maggio 1993, l’on. Vittorio Sgarbi afferma che un pentito “ha detto di aver versato tangenti al secondo del Partito Comunista, P.D.S., Massimo D’Alema”, aggiungendo che “questi che urlano hanno fatto esattamente lo stesso di quelli contro cui stanno urlando”.

D’Alema ritiene le affermazioni di Sgarbi gramenente lesive della sua reputazione e lo cita in giudizio dinanzi al Tribunale di Roma chiedendo il risarcimento dei danni. La difesa di Sgarbi nemmeno tenta di fornire la prova che le dichiarazioni del pentito vi siano mai state.

Il Tribunale accoglie la condanna di D’Alema, condannando Sgarbi a risarcirgli i danni derivanti dalla lesione della reputazione. Afferma che “Esula da ogni forma di diritto di critica, inteso come diritto ad esprimere un giudizio o a manifestare un’opinione, la pura e semplice attribuzione ad un soggetto di un reato specifico e determinato, come è quello di aver percepito tangenti”.

(Trib. Roma 20 febbraio 2003)
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Il caso non pone particolari problemi. Addirittura Sgarbi non ha nemmeno tentato di dimostrare che le dichiarazioni del pentito, che accusava D’Alema di aver percepito tangenti, fossero state realmente rese. Probabilmente ha voluto sfruttare il clima creato da alcune indagini sulle “tangenti rosse”, susseguenti a “Tangentopoli”, circa la possibilità che il maggior partito della sinistra italiana fosse tutt’altro che estraneo ad una pratica che fino a quel momento era risultata particolarmente diffusa negli ambienti politici governativi.

Qui la critica è consistita nell’attribuire fatti ben precisi. E’ chiaro che in questo caso il controllo di veridicità, che per principio vale anche per la critica, è risultato agevole. E’ bastato, cioè, constatare che la difesa di Sgarbi non ha nemmeno tentato di dimostrare la verità dei fatti. Il tribunale ha così concluso per la loro falsità e per la conseguente illegittimità della critica.

La vicenda conferma quanto già illustrato nel caso Un sindaco da osteria. I limiti del diritto di critica si fanno tanto più definiti quanto più la critica verte su fatti precisi. In questi casi la critica soffre maggiormente il vincolo della verità, poiché il suo accertamento è facilmente verificabile. E non essendoci all’epoca alcun procedimento penale nei riguardi di D’Alema, né risultando che qualcuno avesse dichiarato ad organi giudiziari che D’Alema aveva percepito tangenti, è stato agevole concludere che la critica di Sgarbi violava il requisito della verità.