Stupro di Guidonia e Radicali:
illecita diffusione di
dati personali

Bologna, 3 febbraio 2009

(avv. Antonello Tomanelli)

Il 31 gennaio l’onorevole Rita Bernardini, radicale, effettua una visita ispettiva nel carcere di Rebibbia. Vuole vedere i sei ragazzi di nazionalità rumena accusati di aver stuprato, con modalità raccapriccianti, la ragazza ventenne di Guidonia. La parlamentare conferma quanto trapelato: gli arrestati sono stati sottoposti a violenze da parte dei carabinieri che li hanno catturati. E annuncia l’intenzione di procedere ad una interrogazione parlamentare.

La sua posta elettronica, reperibile sul sito della Camera dei Deputati, viene invasa da centinaia di mail. Sono cittadini indignati per la sensibilità che la parlamentare ha mostrato nei riguardi di persone macchiatesi di un crimine orrendo. L’onorevole decide di pubblicarle integralmente sul sito radicali.it. Alcune mail esprimono l’indignazione con toni severi, ma tutto sommato civili. Molte altre veicolano una violenza e una volgarità tali da essere francamente irriproducibili.

A leggere quei testi, da un lato viene da chiedersi come sia possibile raggiungere tali livelli di oscenità e di aggressività nei riguardi di una donna. Dall’altro, ci si stupisce come una parlamentare abbia potuto commettere una così palese violazione della privacy. Perché di quelle mail è stato riprodotto non soltanto il contenuto, ma anche le generalità del mittente. Certo, l’iniziativa è senz’altro nata con l’intento di mostrare al lettore il disordine mentale e la pericolosa arretratezza culturale in cui versa chi in questi giorni invoca misure medievali nei confronti degli arrestati. Ma ciò non toglie che la parlamentare, così facendo, ha posto in essere un’attività illecita (ed ingenua) di diffusione di dati personali. Vediamo perché.

Non c’è dubbio che le generalità di un individuo rientrano nel concetto di dato personale. Precisamente, si tratta di dati personali identificativi, che sono quei “dati personali che permettono l’identificazione diretta dell’interessato”, come si esprime l’art. 4, comma 1° lett. c), D.Lgs. n. 196/2003 (noto come Codice della Privacy).

E' noto che, secondo la regola generale, ogni trattamento di dato personale deve avvenire con il consenso dell’interessato (art. 23). La diffusione rappresenta l’ipotesi più delicata di trattamento, poiché con essa il dato personale viene acquisito da un numero indeterminato di persone. Le ipotesi di diffusione di un dato personale senza il consenso dell’interessato sono, nel nostro ordinamento, da considerarsi eccezionali. Tra queste, spicca l’attività giornalistica e, in generale, ogni manifestazione di pensiero, in presenza di particolari condizioni.

E’ l’art. 137, comma 3°, del “Codice della Privacy” a fissare quelle condizioni, stabilendo che “In caso di diffusione o di comunicazione dei dati per le finalità di cui all’art. 136” (ossia la finalità giornalistica e di manifestazione del pensiero) “restano fermi i limiti del diritto di cronaca […], in particolare quello dell’essenzialità dell’informazione riguardo a fatti di interesse pubblico”.

Ora, riferendo i suddetti termini normativi a quando accaduto sul sito radicali.it, certamente la pubblicazione integrale delle mail arrivate all’onorevole Bernardini può soddisfare un interesse pubblico. Ciò è scontato con riferimento a quelle mail che contengono argomentazioni e toni civili, poiché è utile conoscere i punti di vista di chi non concorda con la visita ispettiva effettuata dall’onorevole Bernardini a tutela degli arrestati. Ma l’interesse pubblico sussiste anche per quelle tante, troppe mail che, per i toni violenti e i contenuti deliranti, finiscono per individuare una nutrita schiera di soggetti border line. Da questo punto di vista, non c’è dubbio che la loro integrale pubblicazione rientra nel diritto di cronaca.

Ma, francamente, non si vede quale interesse pubblico possa soddisfare la pubblicazione delle generalità dei mittenti. Il pubblico che nelle scorse ore ha consultato il sito radicali.it, non aveva alcun interesse a conoscere nome e cognome di chi privatamente ha inviato all’onorevole Bernardini quei messaggi, composti o deliranti che fossero. In altre parole, le generalità di chi si è messo in contatto con l’onorevole non rientrano in alcun modo nel fatto (di interesse pubblico), poiché quei soggetti non hanno alcun rapporto con la collettività. E la diffusione delle loro generalità non contribuisce minimamente a meglio rappresentare il fatto. Conclusioni opposte dovrebbero trarsi nell’eventualità in cui le generalità si riferissero ad un personaggio pubblico, ossia ad un soggetto che ha un rapporto con la collettività. Solo in questo caso l’interesse pubblico attrarrebbe il dato personale costituito dalle generalità, che rientrerebbero così nel fatto.

Pertanto, la pubblicazione di quei dati personali non poteva avvenire senza il consenso degli interessati. A riguardo, non si potrebbe certo sostenere l’esistenza di un consenso implicito alla pubblicazione delle generalità. Quei mittenti hanno utilizzato, per comunicare con la parlamentare, un canale privato. Ed è irrilevante che l’abbiano reperito sul sito della Camera dei Deputati. Chi ha mandato quelle mail non poteva ragionevolmente supporre che quanto scritto sarebbe stato pubblicato, a differenza di chi spedisce una lettera alla redazione di un giornale, o di chi posta un commento nello spazio che un quotidiano on line mette a disposizione per creare un dibattito intorno a una notizia.

Non c’è dubbio, quindi, che si tratta di un clamoroso caso di illecita diffusione di dati personali. Anzi, vi è di più. Diversi mittenti, in perfetta buona fede, hanno addirittura specificato il proprio orientamento politico, in alcuni casi l’appartenenza a partiti. Qui siamo di fronte a dati sensibili, secondo la descrizione che di essi fa l’art. 4, comma 1° lett. d) del Codice della Privacy. Una circostanza, quest’ultima, che senz’altro inciderebbe sull’entità di un risarcimento che, di fronte ad un simile caso di scellerato trattamento di dati personali, qualsiasi tribunale riconoscerebbe.