Il caso Annozero:
verso il tramonto del
l'approfondimento informativo?

Bologna, 14 aprile 2009

(avv. Antonello Tomanelli)

Nella puntata di “Annozero” del 9 aprile scorso, Michele Santoro, che è un giornalista e non un attore, rifiuta di interpretare il cordoglio nazionale per il terremoto che ha devastato la provincia dell’Aquila e manda l’inviato Sandro Ruotolo nei luoghi della tragedia a scoprire fatti e raccogliere testimonianze. Vuole far capire a milioni di italiani il perché di quei 300 corpi rimasti senza vita sotto le macerie.

Si manifesta qualche intoppo nella macchina organizzativa messa in campo dalla protezione civile. In alcuni luoghi le tende per gli sfollati arrivano con un imperdonabile ritardo, costringendo alcune famiglie a dormire in macchina. In altri manca l’acqua. Ma, tutto sommato, la macchina organizzativa regge, come sottolinea lo stesso Santoro in studio.

La cosa grave è un’altra. Viene fuori che a L’Aquila e provincia la terra tremava da mesi, ma chi di dovere non se n’è mai preoccupato. Nessun allarme, tutto nella norma. Pochi giorni prima della tragedia, Gianpaolo Giuliani, tecnico del laboratorio di fisica del Gran Sasso, dà come imminente un terremoto di intensità catastrofica. Bollato come “imbecille” dal capo della protezione civile Bertolaso, viene denunciato alla magistratura per procurato allarme.

Molti edifici risalenti a qualche secolo fa rimangono pressoché intatti. Quelli costruiti nel 2000, invece, si sbriciolano dalle fondamenta. Motivo: i moderni costruttori annacquano il calcestruzzo, armano poco e male il cemento e chi dovrebbe controllare si gira dall’altra parte.

Questi i principali aspetti approfonditi da “Annozero” del 9 aprile. Fatti di indubbio interesse pubblico, come ogni persona di buon senso può notare. Eppure, Santoro è stato crocifisso dalla gran parte delle forze politiche, che lo hanno sostanzialmente accusato di speculare sulla tragedia a fini di audience.

Alcuni lo hanno diffamato. Maurizio Gasparri, ad esempio, quando ha accusato Santoro di fare “scempio continuo della verità” e affermato che “Santoro e i bassifondi delle città ad alto rischio sono i soli posti che evito”. Ma anche il direttore de “Il Giornale” Mario Giordano nell’editoriale dell’11 aprile dal titolo “Santoro ha infangato gli angeli dei soccorsi”. Definire la puntata di “Annozero” “atto di sciacallaggio ributtante” e i collaboratori di Santoro “suoi sottopanza”, qualificare quei servizi “marchette politiche”, parlare di “professionalità ridotta a zerbino dell’ideologia”: tutte affermazioni assolutamente incompatibili con il dovere di autonomia del giornalista, quindi lesive della reputazione di Santoro. E, francamente, riesce difficile credere che simili frasi siano state scritte dal direttore di un quotidiano nazionale, che in quanto tale dovrebbe fungere da esempio per i propri collaboratori (non “sottopanza”), non fosse altro che per “promuovere lo spirito di collaborazione tra colleghi”, come impone l’art. 2, comma 2°, legge n. 69 del 1963.

Ma ciò che preoccupa non è la volgarità di uno che si dimentica di essere parlamentare, o il livore che traspare dai corsivi di un collega. Ciò che preoccupa è il preavviso di sanzioni che arriva dai neo vertici Rai, che annunciano “approfondimenti”. In particolare, la posizione espressa dal presidente della Commissione di Vigilanza Sergio Zavoli, il quale, annunciando “un indirizzo non censorio, ma più vincolante che in passato” da parte della Commissione, afferma: “So che Michele Santoro al dibattito vero e proprio preferisce la forma dell’inchiesta costruita sui servizi degli inviati e le testimonianze raccolte sui set qua e là allestiti. Con questa modalità è più facile venir meno al principio della completezza, una carenza non sempre emendabile dallo studio. Cruciale, in ogni caso, è dar voce a istanze diverse”.

Una dichiarazione, quella di Zavoli, che sembra pacata, ma che in realtà svela il nuovo concetto di approfondimento informativo che va affermandosi da qualche anno. Il principio di completezza cui allude Zavoli riguarda la completezza del fatto. Ma la sua esortazione a “dar voce a istanze diverse” fa sì che il fatto sia rappresentato non nella sua obiettività, ma nella diversa interpretazione che di esso danno soggetti portatori di interessi contrapposti (quasi sempre politici).

Ecco, quindi, che viene privilegiato il dibattito in studio, presenti i politici di opposti schieramenti, che logicamente rappresenteranno il fatto in maniera diversa. Si arriva così al seguente risultato: un fatto verrà sistematicamente smentito da colui che ha interesse ad occultarlo. La notizia, quindi, nasce per essere subito dopo smentita. In questo modo, il telespettatore non saprà mai chi dice la verità. E’ questa l’assurda conseguenza dell’applicazione della par condicio all’informazione, quando è invece nata per regolamentare la comunicazione politica, diametralmente opposta all’informazione.

E’ la fine del concetto di approfondimento informativo. Il fatto non viene più rappresentato dal giornalista, che è vincolato al dovere deontologico di verità, ma da soggetti che sono liberi di mentire, e che quasi sempre ne hanno tutto l'interesse. Il giornalista viene così relegato al ruolo di moderatore, mero garante della altrui libertà di espressione, che spesso diventa libertà di menzogna. E quando il giornalista dà vita ad un contraddittorio con un soggetto presente in studio che mente, ecco che viene tacciato di faziosità, paradossalmente per non aver consentito a soggetti faziosi per definizione, quali i politici, di dare una rappresentazione partigiana del fatto. Quando, al contrario, il contraddittorio tra giornalista e soggetti presenti è l'essenza del programma di approfondimento informativo.

In un simile regime informativo, il comportamento dell’inviato Sandro Ruotolo che raccoglie testimonianze in loco diventa sovversivo, in quanto attività non mediata da chi vuole detenere il monopolio della rappresentazione del fatto. Se alcuni testimoni attendibili (come ad esempio i medici di un ospedale) parlano di ritardi e inefficienze della protezione civile nei soccorsi, ecco che le loro affermazioni diventano cattiva informazione, in quanto non si è data alla protezione civile o al politico di area governativa, che certamente la difenderebbe, la possibilità di smentire quelle dichiarazioni. Anche se persino un imbecille capirebbe che la protezione civile e quel politico non riconosceranno mai quelle inefficienze, smentiranno quelle testimonianze e lasceranno il telespettatore nel dubbio su chi dice la verità. E’ a questo che porta il “dar voce a istanze diverse” esortato da Zavoli.

Se uno come Sergio Zavoli fa affermazioni del genere, allora c’è poco da stare allegri. Grande giornalista, vero maestro dell’approfondimento informativo, agli inizi degli anni ’90 fu autore di una delle più grandi opere giornalistiche a puntate mai viste sugli schermi Rai: “La notte della Repubblica”. Era in gran parte costituita da servizi in cui la sua voce fuoricampo si impegnava in raffinate analisi storiche, sovrapponendosi a suggestive immagini. Il principio di completezza fu pienamente rispettato, anche se il dibattito in studio che seguiva occupava meno di un terzo della puntata. Nessun contraddittorio nei servizi, unico protagonista era il giornalista. Se qualcuno lo avesse accusato di non “dar voce a istanze diverse” in quegli affascinanti servizi, probabilmente Zavoli si sarebbe messo a ridere: “Faccio il giornalista. Il fatto lo colgo io e lo racconto io”, avrebbe probabilmente risposto.