Tg1: molta confusione
e troppo servilismo
nell'editoriale di Minzolini

Bologna, 23 giugno 2009

(avv. Antonello Tomanelli)

Quando si cerca di giustificare comportamenti contrari all’ordinamento, per scansare inevitabili giudizi di colpevolezza si deve sempre mentire, anche a rischio di mettere a repentaglio la propria dignità professionale. Alcuni ci riescono bene, perché sono bravi. Altri farebbero meglio a tacere. Tra questi ultimi è senz’altro da annoverare Augusto Minzolini, il direttore del Tg1, che per difendere il black out imposto nel week end sui clamorosi sviluppi dell’inchiesta di Bari sulle squillo ospitate nelle residenze del presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, decide di mettere la propria faccia, in tutti i sensi, in un editoriale inserito alla fine del Tg1 delle 20 di ieri 22 giugno.

Minzolini rivendica, addirittura con orgoglio, la sua scelta di impedire che il Tg1 solo toccasse l’argomento. Ma lo fa così male che, francamente, sarebbe difficile trovare qualcuno serio disposto a dargli ragione.

E’ già l’esordio a condannare il pavido direttore: “Ad urne chiuse voglio spiegare a voi telespettatori […]”. Come se nell’imminenza delle elezioni vi fosse la sospensione del diritto all’informazione. Dovrebbe sapere, il direttore Minzolini, che l’art. 5 della legge n. 28 del 2000 (che regola la par condicio) impedisce nei programmi di informazione, nell’imminenza di consultazioni elettorali, qualsiasi indicazione di voto, non certo la diffusione di notizie. Quelle parole manifestano inequivocabilmente la volontà di evitare che un servizio sui nuovi sviluppi dell’inchiesta di Bari potesse danneggiare il partito del premier.

E’ una dichiarazione di colpevolezza in riferimento alla violazione del dovere di autonomia del giornalista, sintetizzato nel seguente passo della Carta dei Doveri: “La responsabilità del giornalista verso i cittadini prevale sempre nei confronti di qualsiasi altra. Il giornalista non può mai subordinarla ad interessi di altri e particolarmente a quelli dell’editore, del governo o di altri organismi dello Stato”. Temendo che un servizio su quell’inchiesta potesse danneggiare l’immagine del premier nell’imminenza dei ballottaggi, Minzolini ha preferito occultare la notizia, finendo così per subordinare la propria responsabilità agli interessi del premier.

Poi, per giustificare la sua scelta, Minzolini è costretto a disconoscere l’interesse pubblico di quei fatti. Lo fa riconducendo al concetto di gossip le “feste” e le “cene” (ma non cita le ragazze a pagamento) organizzate dal presidente del Consiglio. In realtà, qui l’interesse pubblico c’è tutto. Un uomo che invita sconosciute nelle stanze destinate ad ospitare capi di Stato, mentre propaganda il bisogno di sicurezza; che ospita a casa ragazze a pagamento mentre dichiara pubblicamente di riconoscersi nei valori cattolici e fa scrivere leggi che rendono impossibile la vita delle prostitute punendo nel contempo i loro clienti. Per milioni di italiani è lecito chiedersi perché hanno votato un individuo del genere. E, soprattutto, perché mai dovrebbero rivotare uno che in privato è l’opposto di come si mostra in pubblico.

In altre parole, quei fatti ristabiliscono il rapporto tra il Berlusconi personaggio pubblico e la collettività in termini di verità. Qui soccorre l’art. 6, comma 2°, del codice di deontologia: “La sfera privata delle persone note o che esercitano funzioni pubbliche deve essere rispettata se le notizie o i dati non hanno alcun rilievo sul loro ruolo o sulla loro vita pubblica”. E non c’è dubbio che quei fatti incidono sulla vita pubblica di Berlusconi, proprio perché mettono in discussione la sincerità delle sue affermazioni pubbliche, sulle quali ha costruito la sua immensa fortuna politica.

Minzolini ha anche il coraggio di paragonare la diffusione di quelle notizie con il caso Sircana, l’ex portavoce del Governo Prodi che fu fotografato in auto a Roma mentre si accostava ad una prostituta transessuale (la foto fu pubblicata da “Il Giornale” del 14 marzo 2007). Non si capisce, infatti, come la circostanza che Sircana abbia conversato qualche secondo con una prostituta transessuale potesse incidere sulla sua funzione di portavoce del Governo, unico collegamento con la collettività. Non potendo minimamente incidere sul rapporto di Sircana con la collettività, quel fatto andava considerato privato.

Per questi motivi è assolutamente inconsistente l’argomentazione di Minzolini, che tenta di ricondurre la diffusione delle notizie provenienti da Bari sui loschi giri del presidente del Consiglio Berlusconi al concetto di processo mediatico. Evidentemente al direttore del Tg1 non è chiaro il significato di questo concetto. Il processo mediatico è un concetto antitetico a quello di “notizia”. La notizia implica l’interesse pubblico alla sua conoscenza, a causa del rapporto che lega il personaggio alla collettività. Il processo mediatico, invece, provoca un’esposizione del soggetto preso di mira assolutamente ingiustificata, unicamente finalizzata a soddisfare quella morbosità del pubblico che in un paese civile non va mai stimolata.

Processo mediatico fu il caso Mosley, consegnato al pubblico ludibrio dopo essere stato immortalato in un video sadomaso, quando le sue tendenze sessuali non potevano in alcun modo incidere sulla sua funzione di presidente della Fia, unico suo legame con la collettività.

E processo mediatico fu anche il caso Elkann, il rampollo della famiglia Agnelli. Se il suo ricovero per overdose da cocaina costituiva indubbiamente una notizia, al contrario le sue frequentazioni con ambienti transessuali non potevano minimamente incidere sulla sua attività di responsabile del settore marketing della Fiat.

Liquidare come gossip e come processo mediatico i gravi fatti che stanno emergendo dall’inchiesta di Bari intorno alla persona del presidente del Consiglio è servilismo giornalistico. Il giornalista è l’anello di congiunzione tra il fatto e la collettività. Con il suo editoriale Minzolini ha voluto proteggere il presidente del Consiglio dal giudizio della collettività, con buona pace del principio di sovranità popolare, il caposaldo di ogni democrazia.

E non può che lasciare increduli il finale di quell’editoriale, quando Minzolini dice: “Questa è la linea editoriale del Tg1 che vi ho promesso fin dal primo giorno, cari telespettatori. E che continuerò a garantirvi”. Di fronte alla minaccia di privare la collettività di un sacrosanto flusso informativo, l’unica reazione adeguata è l’immediata destituzione del direttore del Tg1 e la sua radiazione dall’Albo dei Giornalisti.