"Il silenzio è mafioso":
Daniele Martinelli
citato per diffamazione

Bologna, 17 febbraio 2010

(avv. Antonello Tomanelli)

La causa giudiziaria, penale o civile che sia, viene spesso utilizzata dai potenti, o presunti tali, per intimidire il giornalista. Lo schema è semplice. Da un lato c’è colui che teme la verità (e chi la racconta) e può permettersi di buttare svariate migliaia di euro per una causa che non vincerà mai. Dall’altro, c’è il classico giornalista free lance, impavido nella sua professione, ma con le spalle scoperte. Il primo non ha nulla da perdere, se non le spese legali. Il secondo dovrà convivere per anni con la paura, spesso irrazionale ma comprensibile, che un giudice possa dargli torto rovinandolo economicamente.

E’ quanto sta accadendo a Daniele Martinelli, giornalista della Rete, che si è visto recapitare un atto di citazione dal legale di Riccardo De Corato, senatore del Pdl e vicesindaco di Milano, recante una richiesta danni di 100 mila Euro. Motivo del contendere: un articolo con relativo video che Martinelli ha inserito sul proprio sito lo scorso primo ottobre, e che lo vede per strada mentre tenta di intervistare De Corato sulla sentenza della Corte dei Conti che ha condannato il sindaco Letizia Moratti a pagare 263 mila euro per il danno causato all’amministrazione comunale, assumendo e strapagando collaboratori mediocri, alcuni dei quali già cacciati in precedenza e con ignominia da altre amministrazioni. De Corato non risponde nemmeno ad una delle domande di Martinelli, mostrandosi per giunta arrogante. Di qui il titolo dell'articolo: “Il silenzio mafioso di Enrico De Corato”. Ma la lesione della reputazione, a detta del vicesindaco, proviene dall’intero articolo postato da Martinelli.

In realtà, come è agevole verificare, l’articolo contiene una critica nemmeno tanto aspra. Difficile ritenere oltre il diritto di critica la seguente frase: “In un paese normale un sindaco così sarebbe a chiedere la carità ai semafori assieme al suo vice e agli ex stipendiati d’oro”. In effetti, si tratta di un modo efficace per comunicare al lettore un concetto elementare: le doverose dimissioni di un sindaco (e a catena dell’intera amministrazione politica) dopo che è stato riconosciuto dalla magistratura contabile non solo inadatto ad amministrare Milano, ma addirittura nocivo per la collettività di riferimento. E se il vicesindaco De Corato si è sentito diffamato da una simile frase, il problema si dovrebbe spostare sul come punire colui che si permette di trascinare in tribunale chi manifesta, anche con toni accesi, la più naturale delle obiezioni, espressa a fronte di un comportamento fraudolento e a difesa di quella stessa collettività.

Anche il titolo dell’articolo (“Il silenzio mafioso di Enrico De Corato”) va ritenuto espressione del diritto di critica, garantito dall’art. 21 Cost. Si badi bene: non è De Corato ad essere indicato come mafioso, ma è il suo silenzio. Una delle caratteristiche del mafioso è il privilegiare sempre il rapporto gerarchico interno rispetto a quello con la gente comune, con gli “esterni” diciamo. Il silenzio di De Corato risponde proprio a tale logica. Rifiuta di fornire qualsiasi spiegazione circa il denaro pubblico sperperato a Milano anche a danno di coloro che lo hanno eletto, al solo scopo di tutelare l’immagine del sindaco Moratti, suo diretto superiore.

Ricorre quindi l’elemento che maggiormente qualifica la critica legittima: l’avere il giudizio di disvalore un significato, tale da contrapporsi all’insulto gratuito che invece caratterizza la critica illegittima. Definire “mafioso” il silenzio di chi ha invece il dovere di spiegare alla collettività (tramite il giornalista) come viene amministrato il denaro pubblico costituisce una forma di dissenso motivato, genuina espressione della libertà di manifestazione del pensiero sancita all’art. 21 Cost.