"L'intercettazione non è prova":
la bufala di Filippo Facci
su Libero

Bologna, 5 ottobre 2011

(avv. Antonello Tomanelli)

Filippo Facci firma un articolo su “Libero” riguardante Ilda Boccassini, commentando alcune dichiarazioni che il magistrato avrebbe pronunciato in occasione di un convegno organizzato a Pavia. Ossia, che “le intercettazioni sono uno strumento importante per la ricerca delle prove”; che “c’è stato un cattivo uso delle intercettazioni da parte della magistratura a livello nazionale” e che “anche io, da cittadina, leggendo sul giornale delle cose che non dovrei leggere, mi indigno”.

L’articolo passa poi ad attaccare il magistrato, chiedendole implicitamente conto sulle “389 pagine di intercettazioni (più un supplemento di altre 227) che la sua procura raccolse tra gli elementi d’indagine sul RubyGate”.

Nel suo complesso, l’articolo di Facci non è scorretto. E’ solo un’aspra critica all’operato (anche passato) del magistrato di Milano. Ciò che però non passa inosservato è lo stravolgimento del significato della prima frase pronunciata dalla Boccassini, pedissequamente riportata dal giornalista (“le intercettazioni sono uno strumento importante per la ricerca delle prove”), che subito dopo scrive: “Dunque non ‘prove’, come oggi vengono impunemente chiamate, ma mezzi di ricerca della prova che neppure dovrebbero entrare negli atti e negli ordini di arresto, e questo lo aggiungiamo noi: esattamente come le lettere anonime o le soffiate dei confidenti” (sic!).

E’ una delle più grandi “bufale” che siano mai apparse su un quotidiano; e che solo in quanto “puro ragionamento”, anche se del tutto errato, non può qualificarsi come violazione del requisito della verità, il caposaldo del diritto di cronaca e, tra i doveri del giornalista, quello più pregnante. Vediamo in cosa consiste questa clamorosa “bufala”.

Il codice di procedura penale annovera le intercettazioni tra i “mezzi di ricerca della prova”. Ora, il termine “mezzo” si riferisce all’operazione tecnica con la quale un’utenza viene messa sotto controllo. Ma ciò che ne scaturirà (ossia le conversazioni) costituirà prova a tutti gli effetti, secondo quanto dispone l’art. 268, comma 7°, codice di procedura penale, perché le relative trascrizioni “sono inserite nel fascicolo del dibattimento”.

Che significa ciò?

Nel nostro ordinamento gli atti compiuti, nel corso delle indagini preliminari, dal pm e dalla polizia giudiziaria vengono raccolti nel fascicolo del pm. Questo fascicolo servirà al gip, il quale, sulla base di esso, non solo applicherà (eventualmente) le misure cautelari richieste dal pm, ma potrà anche decidere il rinvio a giudizio dell’imputato, mandandolo davanti al giudice del dibattimento, che è quello che lo condannerà o lo assolverà.

Il giudice del dibattimento deciderà esclusivamente sulla base delle risultanze del proprio fascicolo, che viene riempito man mano che le prove vengono espletate davanti a sé (testimonianze, perizie, etc.). Il giudice del dibattimento non conosce il contenuto del fascicolo del pm.

Quest’ultima regola subisce alcune eccezioni per i cosiddetti atti non ripetibili, compiuti durante le indagini preliminari: tra questi vi sono proprio le intercettazioni. I relativi verbali non vengono conosciuti soltanto dal gip (per applicare le misure cautelari e per decidere il rinvio a giudizio) e da pm e imputato (per esigenze di accusa e di difesa), ma confluiscono nel fascicolo del dibattimento, proprio perché lo impone l'art. 268, comma 7°, del codice di procedura penale. Ciò significa che il giudice del dibattimento alla fine deciderà non soltanto sulla base delle prove espletate davanti a sé, ma anche sulla base del contenuto delle intercettazioni acquisite nel corso delle indagini preliminari. In altre parole, le intercettazioni costituiscono prova a tutti gli effetti. Anche perché, logicamente, nella maggior parte dei casi altro non sono che delle confessioni.

Così scrivendo, Facci ci ha fornito la prova di non conoscere il concetto di “mezzo di ricerca della prova”, né tantomeno il disposto dell’art. 268, comma 7°, del codice di procedura penale, addirittura accostando il valore delle intercettazioni a “le lettere anonime o le soffiate dei confidenti”!!. Un'esternazione che se da un lato non si concreta in un illecito, nemmeno disciplinare, dall’altro fonda lo sdegno che ogni lettore dovrebbe provare verso un così eclatante esempio di disinformazione, attuata attraverso lo stravolgimento di principi fondamentali del processo penale, peraltro da un giornalista che spesso e volentieri si occupa di cronaca giudiziaria.