Satyricon
non diffamò Berlusconi:
la Cassazione mette la parola fine

Bologna, 21 gennaio 2015

(avv. Antonello Tomanelli)

Tutto incomincia la sera del 14 marzo 2001, quando su Rai2 va in onda “Satyricon”, programma condotto dal comico Daniele Luttazzi. La puntata ospita il giornalista Marco Travaglio, autore de “L’odore dei soldi”, un libro scritto insieme a Elio Veltri, membro della Commissione Parlamentare Antimafia, che ripercorre la carriera di Silvio Berlusconi. Travaglio sintetizza il contenuto del libro. In particolare si parla: dei rapporti tra Marcello Dell’Utri, top manager della Fininvest, e Vittorio Mangano, boss mafioso noto come “Lo stalliere di Arcore”, che negli anni ’70 abitò proprio nella villa del Cavaliere, poi condannato all’ergastolo per gravi fatti di mafia; dei rapporti tra Berlusconi e Dell’Utri da un lato, e Totò Riina dall’altro; dei motivi che indussero Berlusconi a entrare in politica fondando “Forza Italia”, dopo che l’azione di “Mani Pulite” aveva cancellato i referenti politici che avevano garantito prosperità al suo gruppo imprenditoriale; dell’attentato del ‘93 a Maurizio Costanzo, contrario all’ingresso in politica del padrone di Fininvest; dell’intervista a Paolo Borsellino poco prima della sua morte, in cui il magistrato parla espressamente di indagini a carico di Berlusconi e il suo gruppo per fatti di mafia; della “legge Tremonti” che nel ’94, con Berlusconi a capo del Governo, consentì al gruppo Fininvest un risparmio di 250 miliardi di (vecchie) lire.

La trasmissione si rivela un duro attacco al candidato alla presidenza del Consiglio Silvio Berlusconi e ai suoi più stretti collaboratori. Ma è un attacco che si basa su fonti ufficiali: gli atti di indagine delle Procure della Repubblica di Palermo e Caltanissetta, in gran parte riassunti nella requisitoria del dott. Luca Tescaroli, pubblico ministero al processo d’appello per la strage di Capaci.

Silvio Berlusconi, ritenendo le affermazioni di Travaglio di una gravità inaudita, cita in giudizio dinanzi al Tribunale di Roma Luttazzi, Travaglio, il direttore di RAI 2 Carlo Freccero e la stessa RAI, chiedendo il risarcimento dei danni, quantificandoli complessivamente in 21 miliardi di (vecchie) lire. Accusa i suddetti di averlo diffamato esclusivamente sulla base di “vaniloquenti teoremi di un PM”.

Il Tribunale di Roma, con sentenza 14 gennaio 2006, respinge la domanda, affermando che “le riferite affermazioni del Travaglio sono da ritenersi esercizio di legittima critica politica”, in quanto ancorate “a fatti di sicuro interesse per l’opinione pubblica” e non risultando che “il Travaglio abbia mai spacciato per indiscusse verità le affermazioni fatte dal PM Tescaroli nella requisitoria resa al processo d’appello per la strage di Capaci […] avendo egli” nel corso dell’intervista resa a Luttazzi “espressamente precisato che si trattava di una requisitoria contenente 'spunti di indagine' e non di sentenza”. Quanto alle affermazioni sulla “legge Tremonti”, secondo il giudice le affermazioni di Travaglio “intesero unicamente sottolineare e denunciare all’opinione pubblica il noto problema del conflitto di interessi che da più parti si assume esistente rispetto all’attività di governo dell’on. Berlusconi in considerazione dei suoi rilevantissimi interessi economici”.

La Corte D’Appello di Roma conferma la decisione di primo grado con sentenza 18 ottobre 2011.

E’ infine di oggi la notizia del rigetto del ricorso che Silvio Berlusconi aveva proposto alla Corte di Cassazione.

Secondo la Suprema Corte, il comportamento di Marco Travaglio va ritenuto “conforme alle regole del diritto di cronaca e di critica”. Proviamo ad analizzare quel comportamento sulla base del noto “decalogo” del giornalista: verità, interesse pubblico, continenza formale.

Dal punto di vista del requisito della verità, le affermazioni del giornalista Travaglio erano tratte dal suo libro “L’odore dei soldi”. Un libro che si basa sugli atti di indagine delle Procure della Repubblica di Palermo e Caltanissetta, nonché sulla requisitoria fatta dal Pubblico Ministero Tescaroli al processo d’appello di Palermo sulla strage di Capaci. E’ chiaro, quindi, che si tratta di fonti ufficiali, come tali riproducibili pubblicamente.

Quanto al secondo requisito, non c’è dubbio che la proposizione dell’argomento risponda ad un interesse pubblico. La collettività, infatti, ha il diritto di conoscere puntualmente le indagini svolte nei riguardi di un personaggio pubblico del calibro di Silvio Berlusconi. Di conoscere, cioè, le origini del suo immenso patrimonio e gli eventuali legami con personaggi di spicco della mafia.

Non si può nemmeno dire che Travaglio abbia condotto la critica con toni aggressivi, ossia in violazione del requisito della continenza formale. Anzi, il tono del giornalista era pacato. E lo stesso giornalista si è preoccupato, nel corso della puntata, di specificare che quei fatti non rappresentavano una verità assoluta, ma elementi emersi da indagini della magistratura. E’ vero, poi, che alcune volte Luttazzi ha fatto ricorso ad una certa dose di ironia. Ma si trattava di un’ironia più che altro di “appoggio” al tema dell’intervista, allo scopo di colorirla, come del resto accadeva in ogni puntata di “Satyricon”. Non certo per rafforzare le affermazioni fatte da Travaglio, vero protagonista della puntata. Peraltro, quando quest’ultimo si chiedeva come mai nessuno avesse mai parlato pubblicamente di quei fatti così gravi riguardanti il futuro presidente del Consiglio, era lo stesso Luttazzi a rispondere che “nessuno le riferisce probabilmente perché devono ancora essere dimostrate”.

Dunque, non si può negare che la puntata di “Satyricon” del 14 marzo 2001 si sia svolta nel rispetto del diritto di critica. Anzi, nel corso dell’intervista, Travaglio tratteneva le potenzialità tipiche del diritto di critica. Le accuse a Berlusconi e alla Fininvest, infatti, erano estremamente circostanziate. L’“attacco” a Berlusconi veniva condotto attraverso la narrazione di fatti tratti da fonti ufficiali pubbliche, quasi fosse cronaca; e non attraverso argomentazioni a sostegno di valutazioni personali, come accade sempre nella critica. Insomma, si può dire che quella esercitata da Travaglio nella puntata di Satyricon sia stata una critica a basso rischio di lesività. Travaglio, continuando a sottolineare che i fatti riferiti riguardavano indagini in corso, avrebbe potuto spingersi ben oltre, fino a mettere espressamente in dubbio l’opportunità che in un paese democratico, ma prima ancora civile, un candidato simile, indagato da due Procure per mafia ed altro, potesse presentarsi alle elezioni aspirando addirittura alla presidenza del Consiglio.