Il caso Lotito:
quando il potente
ridicolizza se stesso

Bologna, 15 febbraio 2015

(avv. Antonello Tomanelli)

E’ ormai diventata un caso politico la telefonata tra Pino Iodice, presidente dell’Ischia Isolaverde, e Claudio Lotito, patron della Lazio e del calcio italiano. Una telefonata dalla quale viene fuori una personalità a dir poco grezza, ma soprattutto l’enorme potere di Lotito e la natura di mere comparse dei vertici più alti della Lega Calcio.

Viene anche fuori l’auspicio di Lotito che squadre come Carpi e Frosinone non vengano promosse in serie A, altrimenti “chi cazzo li compra i diritti TV?

La telefonata viene registrata da Pino Iodice per – dice lui – cautelarsi; e consegnata a “Repubblica”, che non esita a pubblicarla integralmente.

Scoppiato il caso, Lotito dichiara di voler portare in tribunale Iodice, l’interlocutore che ha registrato a sua insaputa la telefonata, nonché presumibilmente “Repubblica”, che ha diffuso la telefonata. E’ qui il ridicolo della vicenda. Perché una qualsiasi azione giudiziaria che intentasse Lotito sarebbe destinata a fallire miseramente.

Innanzitutto, va chiarito un punto. Contrariamente a quanto da più parti si sente dire, il registrare di nascosto una conversazione, telefonica o dal vivo, non configura alcun illecito. Più precisamente, commette il reato di cui all’art. 615 bis del codice penale soltanto chi “mediante l’uso di strumenti di ripresa visiva o sonora, si procura indebitamente notizie o immagini attinenti alla vita privata svolgentesi nei luoghi indicati nell’art. 614”, ossia “l’abitazione altrui” oppure “un altro luogo di privata dimora”. E’ il reato di chi piazza una telecamera o un microfono nella casa di un altro e registra tutto. Sul presupposto che colui il quale effettua la registrazione è assente dal luogo in cui vengono catturate le immagini o le voci.

Tra l’altro, nemmeno la severa normativa sulla privacy stigmatizza il comportamento tenuto da Pino Iodice. E’ vero che questi, nel registrare la telefonata avuta con Lotito, ha effettuato un’attività di trattamento di dati personali (la voce di un individuo è “dato personale”). Ma l’art. 5 del Codice della Privacy, intitolato “Oggetto ed ambito di applicazione”, stabilisce al comma 3° che “Il trattamento dei dati personali effettuato da persone fisiche per fini esclusivamente personali è soggetto all’applicazione del presente codice solo se i dati sono destinati ad una comunicazione sistematica o alla diffusione”.

I concetti di comunicazione e di diffusione sono chiariti dall’art. 4 del Codice della Privacy: per comunicazione si intende “il dare conoscenza dei dati personali a uno o più soggetti determinati”; per diffusione si intende “il dare conoscenza dei dati personali a soggetti indeterminati”.

Ora, è evidente che qui Iodice, consegnando a “Repubblica” l’audio della telefonata, ha effettuato un’attività di comunicazione. “Repubblica”, invece, ha effettuato un’attività di diffusione. Ed esigendo l’art. 5, come si è visto, un’attività di comunicazione sistematica, è evidente che qui alla persona fisica Iodice non si può attribuire alcuna violazione.

Resta la questione del comportamento di “Repubblica”. Ma nemmeno qui si può scorgere alcuna violazione, civile o penale che sia.

Secondo l’art. 137, comma 3°, del codice della privacy, per il giornalista la comunicazione e la diffusione di dati personali incontrano “i limiti del diritto di cronaca […] e, in particolare, quello dell’essenzialità dell’informazione riguardo a fatti di interesse pubblico”.

Ciò significa che nell’esercizio della professione giornalistica la diffusione di dati personali che, come tali, identificano o rendono identificabile una persona (nella fattispecie, la voce) deve rispettare i tradizionali requisiti su cui si basa il diritto di cronaca. Di conseguenza, oltre ad esigere dati “esatti” nel rispetto del requisito della verità, la diffusione dei dati personali deve rispondere ad una reale esigenza informativa nel rispetto del requisito dell’interesse pubblico (per una approfondita disamina sull'argomento si può leggere qui).

Sul requisito della verità c’è poco da dire. La voce è quella di Lotito, anche perché quest’ultimo non ha mai smentito l’esistenza della telefonata.

Sulla sussistenza dell’interesse pubblico vanno spese più parole, ma l’esito è il medesimo. Qui il dato personale “voce” di Lotito è completamente assorbito dall’importanza del contenuto della telefonata. La collettività ha certamente interesse a sapere che il presidente di una squadra, seppure titolata come la Lazio, gestisce di fatto molti importanti aspetti del calcio italiano e dispone a suo piacimento di uomini che occupano i vertici più alti dei relativi organismi; e che soprattutto afferma candidamente che l’organizzazione del calcio italiano, ai massimi livelli, non guarda all’abilità e all’estro di squadre come il Carpi o il Frosinone, candidate a salire nella massima serie, perché porterebbero pochi soldi in termini di diritti TV.