Fertility Day:
sfiorato il reato di
discriminazione razziale

Bologna, 23 settembre 2016

(avv. Antonello Tomanelli)

Una fotografia divisa in due parti, frutto di un fotomontaggio. Nella parte superiore due coppie, in posa, di bellissimi ragazzi, rigorosamente biondi e di carnagione chiara, lineamenti delicati, che guardano l’obiettivo con un sorriso da copertina e che sembrano appena usciti da un provino per Beautiful, presumibilmente su una barca, e sullo sfondo un mare cristallino. Il ritratto della salute, sottolineato dalla dicitura “Le buone abitudini da promuovere”.

Nella parte inferiore della foto un gruppo di ragazzi e ragazze seduti in un ambiente chiuso, disordinato e presumibilmente maleodorante, intenti a consumare diversi tipi di droghe (dalla cannabis alla cocaina). In primo piano spiccano una ragazza afroamericana, i cui capelli rasta ne coprono in gran parte il viso, con il capo chinato su un narghilè, e un ragazzo nero con in mano una bottiglia che ha tutta l’aria di contenere una marca dozzinale di superalcolico, con un’espressione di incosciente beatitudine. Il ritratto della perdizione, accompagnato dalla scritta “I cattivi ‘compagni’ da abbandonare”.

Sembra la vignetta disegnata da un 16enne che frequenta con scarso profitto la scuola superiore, plagiato da militanti di “Forza Nuova” più grandi di lui. In realtà, è l’opuscolo informativo diffuso dal Ministero del Salute per lanciare il Fertility Day, già al centro delle polemiche a causa dell’utilizzo di alcuni opuscoli che sembrano voler colpevolizzare chi non ha figli o chi non ha più l’età (o la capacità economica) per concepirne. L’opuscolo si chiude con la seguente dicitura, che campeggia sull’immagine sopra descritta: “Stili di vita corretti per la prevenzione della sterilità e dell’infertilità”.

Un opuscolo diffuso ufficialmente, ma poi ritirato dopo che in pochi minuti i social network si sono rivoltati per un’immagine eufemisticamente definita di dubbio gusto, ma che per molti è apertamente razzista.

A scandalo esploso il ministro Beatrice Lorenzin dice di non saperne nulla. E caccia Daniela Rodorigo, responsabile della comunicazione del ministero.

Come si possa, a certi livelli, essere arrivati ad ideare una campagna del genere, probabilmente rimarrà un mistero. Ma per comprendere la gravità della cosa, basti pensare che qui si è a un passo dal reato di discriminazione razziale, previsto dall’art. 1 L. 26 aprile 1933 n. 122 (nota come “Legge Mancino”), che punisce “chi propaganda idee fondate sulla superiorità o sull’odio razziale o etnico”.

Commette quel reato chi propaganda le idee razziste. Da notare che il verbo “propagandare” è stato inserito dalla legge 24 febbraio 2006 n. 85 dal governo Berlusconi, su pressioni della Lega Nord, in sostituzione del verbo “diffondere”, che prima caratterizzava la condotta penalmente rilevante. E il cambiamento, a pensarci bene, non è di poco conto.

Tecnicamente l’area della propaganda è ben più ristretta di quella della diffusione. La propaganda implica necessariamente uno spiegamento, seppur minimo, di mezzi finalizzato non soltanto ad esprimere un pensiero, ma soprattutto a persuadere una moltitudine di persone, provocare la loro adesione alle idee veicolate. Chi afferma che gli arabi o i rom debbono essere mandati via perché culturalmente inferiori diffonde un pensiero. Chi afferma ciò in un volantino che distribuisce al pubblico, in un comizio elettorale o nello spazio che gli spetta all’interno di una tribuna politica, fa propaganda.

E non c’è dubbio che lo spiegamento di mezzi messo in campo dal Ministero della Salute per un evento come il Fertility Day depone più per una “propaganda” che per una semplice “diffusione”, per usare i termini utilizzati dalle due leggi che abbiamo appena visto succedersi.

Ne deriva che l’opuscolo diffuso dal Ministero della Salute, laddove inserisce persone di colore in un contesto chiaramente negativo, contrapponendoli al modello da seguire rappresentato da giovani biondi e belli, peraltro accompagnando il tutto con slogan che inequivocabilmente guidano la scelta del lettore, potrebbe integrare gli estremi del reato di discriminazione razziale.

Potrebbe. Perché ciò che manca alla sua realizzazione è il cosiddetto elemento soggettivo del reato: il dolo. Ossia la volontà di compiere la discriminazione razziale. Non ci si deve sforzare più di tanto per capire come questa orribile gaffe sia nata dalla leggerezza e dall’ignoranza di una o più persone (poco conta, ai fini dell’esistenza del reato, quali posizione occupassero) che in buona fede, e con rara maldestrìa, non hanno tenuto nel debito conto la presenza di ragazzi di colore in un’ambientazione assolutamente stigmatizzante.

Ma se non può contestarsi il reato di discriminazione razziale per difetto di dolo, è indubbio che almeno l’elemento soggettivo della colpa possa essere imputato ai responsabili di quanto accaduto. Di conseguenza, ben si potrebbe addurre un danno di immagine per il Ministero nella diffusione di quell’opuscolo, ossia il cosiddetto danno erariale da richiedere davanti alla Corte dei Conti ai responsabili di questa scellerata condotta.