Il monologo di Valentino Rossi
e l'uso privato
del mezzo televisivo

30 agosto 2007

(avv. Antonello Tomanelli)

La scelta di Tg1 e Tg5 di mandare in onda il videomessaggio di Valentino Rossi pone questioni di natura soprattutto deontologica, derivanti dall’impossibilità sia di ricondurre il videomessaggio ad una categoria contemplata dalla normativa vigente, sia di rinvenire un oggettivo interesse pubblico in quelle dichiarazioni.

I fatti sono noti. L’8 agosto 2007 viene diffusa la notizia secondo cui la Guardia di Finanza ha contestato a Valentino Rossi una omessa dichiarazione di redditi per circa 60 milioni di Euro. Il campione rischia una multa di 120 milioni. Il 14 agosto Valentino Rossi fa recapitare una videocassetta al Tg1 e al Tg5, contenente un messaggio della durata di due minuti circa, in cui proclama la propria innocenza, assicura di aver rispettato la legge, dice di essere a posto con la coscienza e – soprattutto – di risiedere a Londra, circostanza quest’ultima che potrebbe sottrarlo all’applicazione delle leggi tributarie italiane. Si dichiara “sconcertato” per il trattamento subìto dagli organi di informazione, che – a suo dire – lo hanno dipinto come un “mostro”.

La trasmissione del videomessaggio provoca le aspre critiche di chi la ritiene un “uso privato” del mezzo televisivo. Il Tg1 si difende accusando Valentino Rossi di aver preso in giro la redazione, perché il campione avrebbe mandato presso la sede Rai di Londra un suo rappresentante con la videocassetta, anziché rilasciare l’intervista che aveva assicurato. Il Tg5, invece, si limita a considerare “non irrituale” la trasmissione del videomessaggio.

Preliminarmente va fatta una precisazione. Qui la posizione del Tg5 è analoga a quella del Tg1. A parte tutte le leggi sul sistema radiotelevisivo che definiscono l’attività di informazione televisiva, da qualsiasi emittente esercitata, un “servizio di preminente interesse generale”, va tenuto presente quanto statuito dalla Corte Costituzionale in materia di pluralismo, definito “uno dei principi fondamentali del sistema radiotelevisivo, che si realizza con il concorso di soggetti pubblici e privati” e al quale devono sottostare anche “gli imprenditori privati che operano nel settore, proprio in quanto soggetti in grado di concorrere insieme al servizio pubblico nella realizzazione dei valori costituzionali posti a presidio dell’informazione radiotelevisiva” (Corte Cost. n. 155/2002). Di conseguenza, quanto qui proposto vale per qualunque emittente che si rivolge alla collettività indiscriminata.

Venendo al merito della questione, il videomessaggio di Valentino Rossi non può essere ricondotto ad alcuna figura giuridica prevista dal sistema normativo radiotelevisivo. In primo luogo, non può considerarsi una rettifica, prevista dall’art. 32 D.Lgs. n. 177/2005 (“Testo Unico della Radiotelevisione”). Ciò in quanto le notizie diffuse in precedenza circa i problemi fiscali di Valentino rossi non sono “contrarie a verità”, che è la condizione che l’art. 32, comma 2°, pone per la rettifica: trattasi di notizie apprese da fonti ufficiali, per le quali vige il principio della verità (quantomeno) putativa. Inoltre, la rettifica deve necessariamente provenire dallo stesso organo di informazione che è incorso nell’errore, non certo dalla persona che si proclama lesa.

Tecnicamente le dichiarazioni di Valentino Rossi, essendo racchiuse in un breve monologo, assumono la forma del comunicato. Ma gli unici “comunicati” consentiti dal Testo Unico sono quelli degli “organi pubblici”, ossia “il Governo, le amministrazioni dello Stato, le regioni e gli enti pubblici territoriali” che possono richiedere a qualsiasi emittente “per soddisfare gravi ed eccezionali esigenze di pubblica necessità” (art. 33, comma 1°), nonché per la Rai “i comunicati e le dichiarazioni ufficiali del Presidente della Repubblica, dei Presidenti del Senato della Repubblica e della Camera dei Deputati, del Presidente del Consiglio dei Ministri e del Presidente della Corte Costituzionale”, che vanno trasmessi “su richiesta degli organi medesimi” (art. 33, comma 2°).

Dunque, è impossibile ricondurre quel monologo alla categoria dei “comunicati” consentiti dal Testo Unico, non essendo Valentino Rossi un soggetto istituzionale. Resta però da vedere se si possa scorgere un interesse pubblico della collettività ad acquisire quelle dichiarazioni, in modo da considerare quel monologo alla stregua di “notizia”, sì da giustificarne la messa in onda in un Tg nazionale.

Valentino Rossi è un personaggio pubblico. Su questo non possono sorgere dubbi. Di conseguenza, costituisce senz’altro “notizia” l’avere il campione subìto un accertamento fiscale che ha svelato un’evasione di 60 milioni di Euro. Non altrettanto può dirsi per le dichiarazioni contenute nel monologo. In esse Valentino Rossi si proclama “innocente” e vittima di un’ingiustizia. Frasi assolutamente scontate e banali, che sarebbero state pronunciate da chiunque si fosse trovato nella sua situazione. E’ come se Valentino Rossi avesse detto che ama correre in moto. Pertanto, non può scorgersi un interesse pubblico della collettività alla acquisizione di quelle dichiarazioni. L’interesse pubblico avrebbe potuto scorgersi se in quel monologo Valentino Rossi avesse ammesso le proprie responsabilità e chiesto simbolicamente scusa ai suoi ammiratori.

Ed è proprio dall’assoluta mancanza di un interesse pubblico che origina l’uso privato del mezzo televisivo, ulteriormente caratterizzato dalla cura di interessi personali. A volte accade che un organo di informazione fornisca una notizia su un determinato soggetto in realta priva di interesse pubblico. Qui l’organo di informazione apprende il fatto e lo diffonde come se fosse “notizia”. Invece, nell’uso privato del mezzo televisivo si assiste ad una sostanziale inversione dei termini. E’ il soggetto stesso che “si appropria” di uno spazio televisivo (poco importa se con il consenso dell’organo di informazione) e diffonde il fatto che lo riguarda come se fosse “notizia”, allo scopo di tutelare interessi squisitamente personali. E’ quindi il ruolo attivo svolto dal soggetto nel diffondere il fatto che lo riguarda personalmente a caratterizzare l’uso privato del mezzo televisivo.

Si ricorderanno le polemiche suscitate nel gennaio 2003 dall’allora presedente del Consiglio Silvio Berlusconi, quando si presentò agli italiani a reti unificate per denunciare l’“uso politico” di quella magistratura milanese che lo voleva processare, dopo che la Corte di Cassazione aveva respinto la sua richiesta di spostare il processo a Brescia. Un altro esempio (eclatante) di uso privato del mezzo televisivo, perché il fatto che Berlusconi si professasse innocente non costituiva certo una novità tale da assurgere a “notizia”. Né era possibile ricondurre quel suo famoso monologo alla figura dei “comunicati di organi pubblici”, allora disciplinati dall’art. 10 L. n. 223/1990 (“legge Mammì”, poi interamente trasfuso nell’art. 32 del Testo Unico del 2005), pur ricoprendo egli una delle massime cariche istituzionali. Lì mancava totalmente il requisito dell’interesse generale, essendo quel monologo finalizzato alla tutela di posizioni non istituzionali, ma squisitamente personali.

Qualche parola va spesa sul chiarimento ufficiale fornito il 16 agosto dal Tg1 delle 20 per bocca della conduttrice Tiziana Ferrario, secondo cui “il Tg1 aveva dato piena informazione delle accuse rivolte al motocicilista ed era dunque giusto sentire anche la sua campana, come impone un giornalismo equanime e consapevole della maturità e dell'intelligenza di voi ascoltarori”. In realtà, ad indurre il Tg1 a far sentire anche la campana di Valentino Rossi è una inopportuna applicazione della par condicio all’informazione. Lo scopo dell’informazione è la ricerca e la diffusione della verità. La diffusione del monologo di Valentino Rossi non può essere ritenuta funzionale all’informazione, perché le relative dichiarazioni provengono da un soggetto che ha un interesse contrario all’accertamento della verità, se le accuse di evasione fiscale sono fondate. In realtà, l’applicazione della par condicio all’informazione allontana inesorabilmente il telespettatore dalla verità (sulla problematica si veda La par condicio).

Tra l’altro, il punto 4 del Provvedimento 11 marzo 2003 della Commissione Parlamentare di Vigilanza specifica che “nei programmi della concessionaria del servizio pubblico aventi per oggetto procedimenti giudiziari in corso, l'esercizio del diritto di cronaca […] dovrà esser garantito da soggetti diversi dalle parti che sono coinvolte e si confrontano nel processo” (norma applicabile anche alle emittenti private per effetto della Delibera n. 22/06 dell’Authority). E’ agevole constatare come la trasmissione del monologo di Valentino Rossi abbia clamorosamente violato tale prescrizione.

Resta da vedere quali conseguenze potrebbero aversi per effetto di un “uso privato” del mezzo televisivo. L’applicazione dell’art. (…) del codice penale (“Interruzione di un servizio pubblico o di pubblica necessità”), in virtù del carattere pubblico delle frequenze dell’etere e in considerazione della soluzione di continuità che la cura di un interesse privato provoca nel flusso di notizie (di interesse pubblico) che un Tg deve garantire, sembra francamente eccessivo. Inoltre, non si può imputare a Valentino Rossi una qualche azione illecita. La sua iniziativa è peraltro comprensibile, anche se in un certo senso odiosa. Il problema è il comportamento dei giornalisti responsabili del servizio. Un problema squisitamente deontologico.

A questo proposito va tenuto presente quanto dispone la Carta dei Doveri: “il rapporto di fiducia tra gli organi d'informazione e i cittadini è la base del lavoro di ogni giornalista”. Carta dei Doveri sottoscritta al dichiarato scopo di “promuovere e rendere più saldo tale rapporto”, come si legge nella Premessa. La Carta dei Doveri è stata siglata nel 1993, vale a dire quasi mezzo secolo dopo l’entrata in vigore della nostra Costituzione. In particolare di quell’art. 3 che, nel sancire il principio di uguaglianza, impone, tra l’altro, la “pari dignità sociale” e l’uguaglianza di tutti i cittadini “di fronte alla legge senza distinzione di […] condizioni personali e sociali”.

E agli occhi di qualche milione di telespettatori un tale sfacciato trattamento di favore riservato al pluriiridato e ricchissimo Valentino Rossi, un uomo le cui capacità di difesa e di reazione sono tutt’altro che basse, ha evidenziato la disuguaglianza tra Valentino e un signor rossi qualsiasi, che può contare esclusivamente sulle proprie capacità di difesa, peraltro notevolmente ridotte rispetto a quelle di Valentino. Un atteggiamento che certamente indebolisce il rapporto di fiducia tra organi di informazione e collettività, come tale in aperto contrasto con la Carta dei Doveri.

Da un lato, il comportamento di chi ha consentito la messa in onda del videomessaggio potrebbe quindi diventare oggetto di procedimento disciplinare per violazione della Carta dei Doveri. Dall’altro, niente di più condivisibile del commento di Sandro Curzi, già direttore del Tg3 e membro del Cda Rai: “Io quella cassetta l’avrei buttata nel secchio”.

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