Condannato Forattini:
lese la reputazione
del magistrato Caselli

3 dicembre 2007

(avv. Antonello Tomanelli)

Con sentenza 8 novembre 2007 n. 23314 la Corte di Cassazione ha confermato in via definitiva la condanna del vignettista Giorgio Forattini a pagare al magistrato Giancarlo Caselli 150 milioni di (vecchie) lire a titolo di risarcimento danni da diffamazione per una vignetta satirica pubblicata su “Panorama” nel 1998.

Questi i fatti. L’11 agosto 1998 Luigi Lombardini, capo della Pretura di Cagliari, viene interrogato in quegli stessi uffici da Giancarlo Caselli ed altri magistrati del pool di Palermo. E’ sospettato di aver estorto un miliardo al padre di Silvia Melis, rapita nel febbraio 1997 e poi rilasciata. Durante una pausa, Lombardini riesce a recarsi nel proprio ufficio, dove si chiude a chiave e si uccide con un colpo di pistola alla testa.

Il 27 agosto “Panorama” esce con una vignetta di Forattini inserita nell’apposita rubrica satirica “Mascalzonate”. Ritrae una figura scheletrica con un lungo ciuffo di capelli bianchi a forma di falce e con indosso una toga. La mano sinistra impugna la bilancia simbolo della Giustizia. La mano destra, che reca nel palmo una pistola, è raffigurata nell’inequivocabile atto di offrire l’arma a qualcuno. Espliciti, dunque, il riferimento a Caselli, l’evocazione della Morte e l’allusione al suicidio di Lombardini.

Va premesso che la vignetta è brutta e particolarmente odiosa. All’indomani di quel tragico evento, infatti, una parte degli organi di informazione, quelli cui Caselli era particolarmente inviso come procuratore capo di Palermo, perpetrarono un vero e proprio linciaggio nei suoi confronti, accusandolo di metodi inquisitori e di essere il vero responsabile della morte di Lombardini. La vignetta, quindi, sfruttava il clima di odio che in alcuni ambienti andava da tempo maturando nei riguardi del magistrato e del suo pool. Ed è comprensibile che Caselli si sia infuriato nel vederla.

Tuttavia, la vignetta va valutata in maniera obiettiva, ossia prescindendo dallo sdegno che dovrebbe suscitare in ogni persona di buon senso. E, sotto questo aspetto, la motivazione con cui la Suprema Corte l’ha ritenuta illecita lascia perplessi.

Negli ultimi decenni la giurisprudenza aveva cercato il giusto equilibrio tra diritto di satira da un lato (che è espressione della libertà di pensiero di cui all’art. 21 Cost. e, nel contempo, espressione della libertà dell’arte di cui all’art. 33 Cost.) e diritto del singolo individuo bersaglio della manifestazione satirica. Consapevole che la satira si basa principalmente sul paradosso, sulla esagerazione, nonché sulla dissacrazione del soggetto preso di mira, la giurisprudenza ha concluso che la satira non può sottostare ai tradizionali requisiti della verità e della continenza formale adoperati per valutare la legittimità della cronaca e della critica. Pertanto, ha adottato come parametro di valutazione il nesso di coerenza causale tra qualità della dimensione pubblica del personaggio colpito e contenuto del messaggio satirico.

Qui va fatta una premessa. La qualità della dimensione pubblica del personaggio va vista come un enorme contenitore dal quale l’artista può liberamente attingere per creare il contenuto dell’opera satirica. In questo contenitore vi sono i frammenti che “compongono” il personaggio, ossia tutte le informazioni di sé che il personaggio, volente o nolente, ha visto fornire al pubblico. Ebbene, la satira restituisce al pubblico quelle informazioni, quei frammenti, dopo averli mescolati, interpretati, enfatizzati, distorti. In questo modo la loro riproposizione (ossia il contenuto del messaggio satirico) è sempre in coerenza causale con la qualità della dimensione pubblica del personaggio preso di mira. Ed è irrilevante che alcune delle informazioni che confluiscono nel contenitore del personaggio pubblico siano false: la satira non agisce su fatti, ma sulla dimensione pubblica acquisita da un personaggio.

Il significato del “nesso di coerenza causale” viene meglio colto descrivendo la differenza tra la satira da un lato, la cronaca e la critica dall’altro. La cronaca si incarica di raccogliere uno ad uno quei frammenti dalla realtà ed inserirli inalterati, allo stato “grezzo”, nel contenitore, man mano delineando la dimensione pubblica del personaggio. La critica esprime un giudizio su uno o più frammenti inseriti nel contenitore, dopo un’attenta osservazione. La satira seleziona alcuni di quei frammenti, ci scolpisce e disegna sopra. Ed è proprio questa attività artistica e “artigianale” ad essere tutelata dall’art. 33 Cost., che sancisce la libertà dell’arte.

L’intensità del nesso di coerenza causale dipenderà dal grado di “lavorazione” di quei frammenti. Più l’autore interverrà sui frammenti tratti dal contenitore deformando le informazioni sul personaggio (ossia discostandosi dal dato reale o presunto tale), più debole sarà il nesso. E ad una minore lavorazione di quei frammenti corrisponderà, invece, un rafforzamento di quel nesso, che tenderà a far aderire il contenuto del messaggio satirico alla realtà (o presunta tale).

Tuttavia, a volte la lavorazione è così accurata da dare l’impressione che l’autore non abbia adoperato frammenti raccolti dal contenitore e che abbia inserito nel messaggio satirico informazioni nuove, perché non presenti nel “contenitore”. Il problema della legittimità della satira è tutto qui. Bisogna cioè prestare la massima attenzione e verificare se il contenuto del messaggio satirico sia il prodotto della lavorazione di frammenti presenti nel contenitore, oppure il risultato dell’inserimento di un frammento estraneo che, in quanto tale, non può garantire al messaggio alcuna coerenza causale con la dimensione pubblica del personaggio. E’ chiaro, quindi, che la creatività adoperata dall’autore satirico nel lavorare i frammenti presenti nel contenitore va tutta a suo rischio e pericolo. Un’eccessiva lavorazione potrebbe non essere compresa dal pubblico, ma soprattutto dal giudice, che potrebbe non scorgere il nesso di coerenza causale, scambiando i frammenti prelevati dal contenitore e lavorati dall’autore per frammenti estranei e rinvenendo così gli estremi della diffamazione (sulla problematica si veda Il diritto di satira).

In sintesi, il problema della legittimità della satira sta soltanto nella lettura dello sforzo creativo che l’artista compie deformando il dato reale ma evitando di basarsi su aspetti o fatti sconosciuti al pubblico, ossia su dati non presenti nel contenitore che rappresenta l’attuale dimensione pubblica del personaggio preso di mira.

Ebbene, la sentenza della Corte di Cassazione si pone in aperto contrasto con le tesi elaborate dalla giurisprudenza degli ultimi decenni in materia di diritto di satira.

Lo si deduce in particolare dal seguente passo, sul quale è basata gran parte della motivazione: “Mentre l’aperta inverosimiglianza dei fatti espressi in forma satirica esclude la loro capacità offensiva della reputazione, diversamente deve dirsi in caso di apparente attendibilità di tali fatti”. A giudizio della Suprema Corte, può essere legittima soltanto la satira dal messaggio non credibile.

E’ il travisamento del concetto di “nesso di coerenza causale” elaborato nel corso degli anni dalla stessa giurisprudenza. Se infatti è legittima l’opera satirica dai contenuti inverosimili, creati cioè “lavorando” intensamente alcuni frammenti presenti nel contenitore del personaggio preso di mira, a maggior ragione va ritenuta lecita quando l’autore sceglie di limitare lo sforzo creativo intervenendo in misura minore su quegli stessi frammenti, facendo tendenzialmente aderire il contenuto del messaggio satirico alle informazioni presenti nel contenitore allo stato “grezzo”.

E’ agevole constatare che nella vignetta di Forattini il nesso di coerenza causale è tra i più intensi. Diversi personaggi pubblici, come diversi organi di informazione, avevano più o meno esplicitamente accusato Caselli di aver quantomeno indotto Lombardini al suicidio. Che tale accusa fosse infondata è abbastanza evidente, ma irrilevante nel processo logico di valutazione della legittimità della vignetta. Nel contenitore del “personaggio pubblico Caselli” erano stati introdotti, suo malgrado, quei frammenti, quelle informazioni che sono poi confluite nel contenuto del messaggio satirico. Ciò è sufficiente per sostenere che quella vignetta era in piena coerenza causale con la dimensione pubblica di Caselli così come delineata nell’agosto 1998.

Ma la sentenza fa di più. Riconduce la vignetta alla problematica del diritto di critica. Nella sentenza si legge che “Nell’esercizio del diritto di critica si possono adoperare espressioni di qualsiasi tipo che si risolvano in lesione dell’altrui reputazione, purché funzionali alla manifestazione di dissenso ragionato dall’opinione o dal comportamento altrui”, non potendo ammettersi “apprezzamenti negativi che degradino in gratuita aggressione”. “Il messaggio” – prosegue la Suprema Corte – “è strettamente connesso con l’attribuzione di un fatto determinato (l’avere in qualche modo portato a morte il collega) e tale fatto ha una gravissima efficacia lesiva del patrimonio morale del Caselli”.

Ora, non c’è dubbio che spesso e volentieri la satira si traduce in un’aspra critica. Ma ciò non significa che per valutare la sua legittimità si possano adottare i parametri della critica. Qui la Suprema Corte esige dalla vignetta satirica il “dissenso ragionato”. Ma la satira non soddisfa esigenze informative o dialettiche, bensì artistiche. Il concetto di argomentazione, che rende lecita anche la critica più aspra, è inconcepibile nell’espressione artistica. Consapevole di ciò, la giurisprudenza aveva creato per la satira il parametro del “nesso di coerenza causale” che sostituisce proprio il concetto di argomentazione (ovvero il “dissenso ragionato” di cui parla la sentenza) caratterizzante la critica. E la sussistenza di quel nesso rende lecita l’attribuzione di qualsiasi fatto determinato.

E non essendo concepibile nella satira un “dissenso ragionato”, pretenderlo produrrebbe una conseguenza devastante. L’autore satirico (in modo particolare il vignettista), non potendo concepire un’argomentazione, dovrebbe a priori rinunciare a creare un messaggio che si concreti in un dissenso, poiché sarebbe sempre lesivo dell’altrui reputazione in quanto “non ragionato”.

Solo in un caso il ragionamento della Corte avrebbe potuto essere condiviso: se la vignetta di Forattini avesse rappresentato un caso di satira informativa, che si ha quando la vignetta risulti strumentale ad un messaggio informativo. E’ il caso della vignetta satirica che, collocata accanto ad una notizia oggetto di cronaca o comunque in modo da essere immediatamente riconducibile ad essa, la serve, amplificandone il messaggio informativo. In questo caso il messaggio satirico cessa di essere tale e diventa informativo, come la notizia che serve.

Di conseguenza, nella satira informativa l’autore della vignetta non può limitarsi a rispettare il nesso di coerenza causale, ma è vincolato al rispetto del requisito della verità, come se stesse comunicando una notizia. Deve rinunciare, quindi, alla più importante caratteristica della satira: la deformazione del fatto. Una storpiatura del dato reale si risolverebbe in una violazione del requisito della verità secondo i principi del diritto di cronaca/critica.

Solo in questo caso la vignetta di Forattini avrebbe potuto essere giudicata secondo i principi del diritto di critica. E non c’è dubbio che, se avesse rappresentato un caso di satira informativa, sarebbe stata illecita, poiché avrebbe veicolato l’informazione della relazione diretta tra Caselli e la morte di Lombardini.

Al contrario, la vignetta in commento è avulsa da un qualsiasi contesto informativo. Appare infatti nella nota rubrica “Mascalzonate”, curata dallo stesso Forattini, che ad ogni uscita di “Panorama” ospita nelle sue prime pagine unicamente una vignetta, addirittura priva di titolo, riferita ad un recente fatto di cronaca già oggetto di dibattito pubblico ma non riproposto in quel numero sotto forma di articolo o editoriale cui la vignetta stessa sia ricollegabile visivamente o graficamente.