Per la Procura di Roma
Padoa Schioppa non diffamò
il generale Speciale

10 aprile 2008

(avv. Antonello Tomanelli)

La querela per diffamazione sporta dal generale Roberto Speciale contro il ministro Padoa Schioppa molto probabilmente non verrà dibattuta davanti al tribunale dei Ministri. Il pubblico ministero romano incaricato delle indagini ha chiesto l’archiviazione. A parere del pm, Padoa Schioppa non è punibile “per aver agito nell’esercizio di un diritto e nell’adempimento di un dovere”.

I fatti sono noti. Il 1° giugno 2007 il generale Roberto Speciale viene dal consiglio dei Ministri destituito dalla carica di Comandante della Guardia di Finanza. Gli si attribuiscono comportamenti quantomeno incongrui. In particolare, ha riconosciuto encomi sulla base di criteri non in linea con i parametri fissati nel regolamento di disciplina militare, illogici e non trasparenti; ha disposto promozioni e trasferimenti di alti ufficiali senza richiedere il parere del consiglio superiore della Guardia di Finanza; ha promosso a prestigiosi incarichi alcuni ufficiali non solo privi di adeguata preparazione, ma anche indagati per gravi reati; non ha provveduto alla sostituzione di ufficiali in servizio permanente in sedi delicate, prima fra tutte Milano, contravvenendo alla regola che impone un frequente avvicendamento nelle cariche per scongiurare il pericolo di amicizie in loco; ha considerevolmente ridotto i rapporti con le autorità politiche, anche tenendole all’oscuro di fatti rilevanti; ha diffuso alla stampa colloqui riservati avuti con il viceministro Visco.

La destituzione del generale Speciale provoca le aspre critiche dell’opposizione di centrodestra. E’ il 7 giugno quando il ministro Padoa Schioppa riferisce in Parlamento sulla vicenda. Dopo aver parlato di “discrasia tra l’attività di governo e le funzioni di gestione intestate al vertice militare”, Padoa Schioppa critica l’operato del generale Speciale, definendolo “inqualificabile” e accusando il comandante di “una gestione personalistica del Corpo, con gravi manchevolezze di trasparenza e di comunicazione, anche con il potere politico, al punto tale che le Fiamme Gialle sono arrivate a diventare un corpo separato”. Secondo il ministro, il comportamento di Speciale si è caratterizzato per “opacità” e “scarsa lealtà” e per un uso di “encomi e premi privo di criteri oggettivi”. Per questi motivi “è venuto meno il legame di fiducia con il governo”.

E’ questo discorso, tenuto in Parlamento dal ministro Padoa Schioppa, che ha occasionato la querela per diffamazione. E la Procura di Roma ha ritenuto che le frasi lesive della reputazione del generale Speciale non siano perseguibili perché pronunciate nell’“esercizio di un diritto” e nell’“adempimento di un dovere”.

Qui l’esercizio del diritto si riferisce al diritto di critica, che tutela ex art. 21 Cost. il legittimo attacco all’altrui persona. Anche la critica deve rispettare i tradizionali requisiti dell’interesse pubblico, della verità e della continenza formale. Essendo scontato il requisito dell’interesse pubblico, vanno analizzati i restanti requisiti.

Per quanto riguarda il requisito della verità, a differenza di quanto accade nella cronaca (che è sempre informazione su fatti determinati), l’oggetto della critica può essere incredibilmente vario. Può riguardare un fatto determinato, ma anche un comportamento generico, magari diluito negli anni. Ma una cosa è certa. Più la critica riguarda fatti specifici, maggiore è la sua potenzialità lesiva, quindi maggiore l’esigenza che venga rispettato il requisito della verità. Più la critica è generica, minore è il pregiudizio che può derivare, quindi minore la necessità del controllo sulla verità, assumendo in questo caso la critica carattere squisitamente valutativo.

Il discorso di Padoa Schioppa tocca pochi fatti specifici. L’unico riferimento è alla tendenza del generale Speciale a riconoscere encomi, utili per le progressioni in carriera, sulla base di criteri illogici e non trasparenti. Ma qui il requisito della verità è rispettato. A riferire al ministro circa l’usanza del generale Speciale di procedere alla distribuzione di encomi senza nemmeno pubblicizzarla negli appositi bollettini, contravvenendo così ad una collaudata prassi decennale, sono stati diversi alti ufficiali.

Per il resto, la critica del ministro all’operato del generale Speciale è piuttosto generica. Parla di “gestione personalistica del Corpo”, in evidente riferimento alla “chiusura” del generale nei riguardi dei tradizionali settori politici e istituzionali di riferimento, addirittura esclusi da importanti processi decisionali. Sotto questo aspetto, non può ritenersi illegittima nemmeno l’accusa di aver trasformato la Guardia di Finanza in un “corpo separato”, proprio nel tentativo del generale Speciale di impermeabilizzarlo dai controlli dell’autorità governativa.

Quanto al requisito della continenza formale, che, come è noto, attiene al linguaggio adoperato, l’unico punto del discorso su cui si potrebbe discutere è quello che aggettiva l’operato del generale Speciale come “inqualificabile”. Tuttavia, va ricordato che nella critica il requisito della continenza formale va valutato con minor rigore rispetto alla cronaca, esprimendosi attraverso la critica non un fatto bensì un giudizio. L’unico limite della critica è costituito dall’insulto gratuito, privo di argomentazione. E’ il caso, realmente accaduto, in cui ad un avversario politico viene dato del “pidocchio”.

E se poi si pensa che la giurisprudenza ha ritenuto legittimo il giudizio su un personaggio politico come di “un khomeinista nella lotta per il potere, che ha collaudato un modo di amministrare a metà strada tra il decisionismo e l’illegalità, come non si era mai visto nelle peggio amministrate città d’Italia” e che avrebbe fatto da “cerniera tra l’amministrazione e i gruppi immobiliari finanziari, che nel frattempo sono diventati i veri padroni di Roma”, addirittura l’epiteto di buffone rivolto da un contestatore a Berlusconi nel palazzo di giustizia di Milano, appare evidente come sia palesemente riconducibile al diritto di critica l’aggettivo che il ministro Padoa Schioppa ha riferito (peraltro non alla persona bensì) al comportamento del generale Speciale.

Tra l’altro, la Procura di Roma ha ricondotto il discorso di Padoa Schioppa non solo al diritto di critica (art. 21 Cost.), ma anche all’adempimento di un “dovere”, che l’art. 51 del codice penale pone sullo stesso piano del “diritto” (di critica). Qui il “dovere” deriva dalla richiesta, formulata dai gruppi parlamentari dell’opposizione in osservanza dei regolamenti parlamentari, affinché il ministro Padoa Schioppa riferisse in Parlamento sulla vicenda.

A ben vedere, appare quantomeno grottesco che qualcuno possa aver ritenuto penalmente rilevante il discorso pronunciato in Parlamento dal ministro Padoa Schioppa. Se tecnicamente Padoa Schioppa, non essendo parlamentare, non può beneficiare della insindacabilità garantita dall’art. 68, comma 1°, Cost. (“I membri del Parlamento non possono essere chiamati a rispondere delle opinioni espresse e dei voti dati nell’esercizio delle loro funzioni”), appare evidente come quella critica, peraltro sollecitata dai gruppi parlamentari dell’opposizione, sia stata espressa nel tempio della dialettica democratica, il luogo fisico dove risiede proprio l’Assemblea che ha scritto l’art. 21 della Costituzione. E dove la critica non va semplicemente tollerata, come in qualsiasi altro luogo fisico di dibattito, ma considerata addirittura fisiologica al buon funzionamento delle istituzioni democratiche.