Caso Barnard (parte seconda):
che ci azzecca
la clausola di manleva?

Bologna, 2 giugno 2008

(avv. Antonello Tomanelli)

Ma la circostanza che ha suscitato un vivace dibattito in Rete, e non poche critiche nei riguardi della Rai e della stessa Milena Gabanelli, è stata la decisione, presa da questi nelle more del giudizio, di addossare la responsabilità dei danni lamentati dal dott. A.N. su Paolo Barnard, chiedendo espressamente al tribunale di porre a suo esclusivo carico ogni eventuale conseguenza risarcitoria. Il tutto facendo leva su una clausola di manleva contenuta nel contratto stipulato tra Rai e Barnard, che altro non è che un contratto di cessione dei diritti di utilizzazione dell’opera creata da Barnard.

Per chiarezza, è opportuno riportare integralmente la clausola. Espressamente si legge che Barnard “[…] in qualità di avente diritto ci garantisce la sua piena titolarità dei diritti ceduti, ed il loro pacifico godimento da parte nostra, e dichiara di non aver posto in essere precedentemente alcun atto contrario od in pregiudizio della presente cessione, che sussiste la libera disponibilità dei materiali oggetto della presente, per assenza su di essi di oneri e/o vincoli reali e/o personali ed esonera la Rai da ogni responsabilità al riguardo obbligandosi altresì a tenerci indenni da tutti gli oneri di qualsivoglia natura a noi eventualmente derivanti in ragione del presente accordo, con particolare riferimento a quelli di natura legale o giudiziaria”.

Al di là degli inevitabili giudizi etici che suscita il comportamento tenuto in giudizio dalla Rai e dalla Gabanelli, sorprende come questi abbiano potuto mettere a repentaglio la propria immagine avanzando in giudizio una richiesta che nessun tribunale accoglierebbe. E’ evidente, infatti, che quella clausola può riguardare solo giudizi sulla paternità dell’opera di Barnard e sul diritto alla sua utilizzazione economica. In altre parole, la Rai e la Gabanelli avrebbero potuto invocarla (a ragione) se dopo la messa in onda della puntata di “Report” qualcuno li avesse citati in giudizio dicendo di essere lui, e non Barnard, l’autore del servizio, oppure dicendo che Barnard, prima di sottoscrivere il contratto con la Rai, aveva già ceduto a lui i diritti di utilizzazione dell’opera.

Ma certamente non in un giudizio promosso da chi si è sentito leso nel proprio diritto alla riservatezza dalla messa in onda di quel servizio. Tant’è che l’interpretazione della clausola così come intesa dalla Rai e dalla Gabanelli, è stata giustamente respinta dal tribunale.

E se quella clausola fosse formulata non in modo così inequivocabilmente riferito alla paternità dell’opera e alla regolarità della cessione dei diritti inerenti? E’ il caso di quegli editori che usufruiscono delle prestazioni giornalistiche dei free lance, imponendo loro di firmare una clausola generica, con la quale il giornalista esonera l’editore da ogni responsabilità per i danni che la pubblicazione degli articoli potrebbe cagionare a terzi. E’ valida una clausola del genere?

La clausola di manleva ha origini antichissime. E’ molto diffusa nei contratti di appalto. Viene generalmente ritenuta legittima, anche dalla giurisprudenza, poiché con essa non si prevede l’esonero dalla responsabilità di una parte contrattuale nei confronti dell’altra (cosa generalmente vietata dall’art. 1229 del codice civile), ma il trasferimento sull’altro contraente delle pretese risarcitorie avanzate da terzi estranei al rapporto contrattuale ma in conseguenza del suo svolgimento.

Tuttavia, se la clausola di manleva può avere una sua generale legittimità, ne vanno valutati gli effetti in un particolare settore come quello giornalistico.

Ebbene, per quanto ci si sforzi, riesce davvero difficile immaginare la conformità di una simile clausola all’art. 2, comma 3°, Legge n. 69/1963 (“Ordinamento della professione di giornalista”), il quale stabilisce che “Giornalisti e editori sono tenuti […] a promuovere lo spirito di collaborazione tra colleghi, la cooperazione tra giornalisti e editori, e la fiducia tra la stampa e i lettori”. Una norma di legge che impone “la cooperazione tra giornalisti e editori” non può legittimare l’eccesso di egoismo di chi usufruisce dell’articolo del giornalista per incrementare le vendite e, nel contempo, imputa in via esclusiva a quest’ultimo i rischi della pubblicazione. Con la clausola di manleva l’editore assume un comportamento opposto a quello richiesto dalla citata norma. Siamo di fronte ad una clausola contrattuale nulla, perché contraria ad una norma di legge che va considerata imperativa.

La relazione che si instaura tra giornalista ed editore non può essere vista come un rapporto tra parti contrapposte. Gli sforzi di entrambi vanno considerati protesi in un'unica direzione: quello di un servizio (in un certo senso obbligatorio) reso alla collettività, titolare del diritto all'informazione. Sotto questo aspetto la clausola di manleva finisce per essere incompatibile addirittura con quanto prescritto dallo stesso art. 21 Cost. La quale norma, nel voler imporre una continuità al flusso di informazioni che gli operatori del giornalismo devono garantire, non potrebbe mai legittimare una clausola che fa sì che tra giornalista ed editore sorga un conflitto sin dal momento in cui il primo entra in contatto con la fonte.