Quando il tg1
si improvvisa portavoce
del clan dei Casalesi

Bologna, 21 ottobre 2008

(avv. Antonello Tomanelli)

Domenica 19 ottobre, ore 20. Attilio Romita lancia i titoli di apertura del tg1. Powell appoggia Obama nella corsa alla Casa Bianca. Botta e risposta tra Berlusconi e Veltroni sul pacchetto clima. Segue il terzo lancio dal titolo “Setola, messaggio dalla latitanza”. Si tratta di Giuseppe Setola, definito nel lancio di Romita “il nuovo capo della camorra”, che per bocca del conduttore dice “non c’entro con le stragi” e che “per l’accusa è un killer spietato”. Fine lancio.

L’accusa è quella della procura distrettuale antimafia di Napoli, che ne ottiene l’arresto sulla base di elementi che lo indicano come responsabile dei più efferati delitti orditi ed eseguiti negli ultimi anni dal clan dei Casalesi. Grazie ad alcuni certificati medici attestanti una patologia alla vista, Setola ottiene gli arresti domiciliari. Ma scompare durante una visita specialistica all’ospedale di Pavia.

Latitante da sei mesi, fa pervenire una lettera al tg1, che viene letta da una voce fuori campo all’interno del servizio di Grazia Graziadei. Alle 20,15 milioni di telespettatori ascoltano il capo del clan dei Casalesi che si professa innocente, denuncia la persecuzione giudiziaria di cui è vittima e il timore che la patologia agli occhi finirà per impedirgli di vedere sua figlia. L’autrice del servizio insiste sulla cecità che starebbe interessando il camorrista, inquadrando pile di certificati medici. Ma non dice una parola sugli elementi che hanno indotto i magistrati di Napoli a considerarlo “un killer spietato”.

Non è la prima volta che il tg1 propina servizi di dubbio gusto. Ad esempio, molti si sono chiesti dove fosse la notizia quando pochi giorni fa mandò in onda un video in cui Mario Alessi, condannato all’ergastolo per l’omicidio del piccolo Tommaso Onofri, professava la propria innocenza dal carcere di Parma.

La domanda da porsi è la seguente: dov’è l’interesse pubblico ad acquisire simili appelli?

Difficile scorgerlo. Sarebbe di interesse pubblico (quindi “notizia”) sentire Mario Alessi dichiararsi colpevole, oppure un boss di spicco come Giuseppe Setola ammettere le proprie colpe dichiarandosi disposto a collaborare con gli inquirenti nella lotta contro la camorra. Invece, in questi casi il tg1 ha funto da cassa di risonanza per dichiarazioni che non offrono alcun apporto in termini di novità o di verità.

Per il resto, è la legge stessa a limitare severamente l’offerta di spazi televisivi per dichiarazioni che di per sé soddisfano un interesse pubblico. L’art. 33 D.Lgs. n. 177/2005 (“Testo Unico della Radiotelevisione”) obbliga la Rai a trasmettere comunicati a semplice richiesta del presidente della Repubblica, del presidente del Consiglio, dei presidenti di Camera e Senato e del presidente della Corte Costituzionale. Qui l’interesse pubblico è insito nella dichiarazione stessa.

Questa è la normativa vigente. E la divulgazione della lettera di Giuseppe Setola non soddisfa alcun interesse pubblico. Eppure, questi si è visto riservare dal tg1 un trattamento che normalmente la legge riserva alle massime carico dello Stato.

Vi è poi da rilevare che personaggi come Giuseppe Setola rappresentano l’antistato. Vedere letta al tg1 una sua lettera, per giunta scritta da latitante, nella quale si ritiene perseguitato dalla magistratura (che è organo dello Stato, ma ai cui membri si vieta in generale di rilasciare interviste sui procedimenti in corso) e nel contempo vittima sfortunata di una malattia che potrebbe non fargli più vedere la figlia, non può non far sorgere interrogativi sul vero motivo per cui il tg1 gli ha concesso quello spazio.

Cosa possa aver pensato la gran parte dei telespettatori nel vedere quel servizio del tg1, è facile immaginarlo. E a chi l’ha confezionato, e soprattutto a chi l’ha autorizzato, va ricordato quanto statuito dalla Carta dei Doveri, fonte della deontologia giornalistica, addirittura in Premessa: “Il rapporto di fiducia tra gli organi di informazione e i cittadini è la base del lavoro di ogni giornalista”.