Berlusconi su Obama:
e una battuta diventa
discriminazione razziale

Bologna, 9 novembre 2008

(avv. Antonello Tomanelli)

Carla Bruni si dichiara felice di essere diventata francese. E certamente molti maledicono di essere italiani, dopo l’infelice battuta di Silvio Berlusconi da Mosca sul neopresidente degli Stati Uniti Barack Obama, definito dal nostro primo ministro “bello, giovane e anche abbronzato”. Una battuta che, se da un lato lascia intatta ogni perplessità sul livello culturale che da sempre caratterizza Berlusconi, dall’altro sottolinea la sua fisiologica incapacità di discernere il lecito dall’illecito.

E’ chiaro che Berlusconi scherzava, certo. Ha utilizzato una battuta vecchia quasi quanto lui, che riecheggia negli ambienti meno evoluti. Ma non sempre la battuta è lecita, specie se fatta nel corso di una conferenza stampa internazionale.

Quando di un nero si dice che è “abbronzato”, si nega la sua appartenenza etnica. In altre parole, quella battuta vuol significare che l’unica razza ufficialmente esistente è quella bianca. Chi appare nero lo può essere solo perché è un bianco abbronzato.

E’ la stessa logica che spingeva nazisti e fascisti a propagandare manifesti che raffiguravano l’ebreo nelle sembianze di un ratto, sul presupposto della sua non riconducibilità al genere umano. Come non potevano esistere ebrei uomini, così non si può essere neri dalla nascita, ma lo si può diventare soltanto attraverso la tecnica dell’abbronzatura.

Non c’è dubbio, quindi, che la battuta di Berlusconi integra gli estremi del reato di cui all’art. 3, comma 1°, L. n. 654 del 1975 (così come modificata dalla L. n. 205 del 1993, cosiddetta “legge Mancino”), che punisce chi “commette atti di discriminazione per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi”. E in considerazione del contesto ufficiale in cui è maturata la battuta (domanda di un giornalista su cosa Berlusconi pensasse dell’elezione di Obama rivolta nel corso di una conferenza stampa internazionale), la battuta di Berlusconi è chiaramente riconducibile al concetto di “atto”.

Qualcuno potrebbe obiettare che quella battuta va ricondotta al diritto di satira, essendo evidente l’intento scherzoso del nostro presidente del Consiglio. Ebbene, già sarebbe difficile rinvenire la satira in una relazione tra “pari”, dato che per sua natura la satira, essendo dissacrante, colpisce sempre dal basso verso l’alto, mirando cioè a porre il destinatario del messaggio satirico sul piano del cosiddetto comune mortale, a “mettere il re in mutande”, come insegna Dario Fo. In ogni caso, qui difetta quell’elemento che secondo una giurisprudenza ormai trentennale rende sempre lecita la satira: il nesso di coerenza causale tra la qualità della dimensione pubblica del personaggio preso di mira e il contenuto del messaggio satirico.

A ben vedere, infatti, qui il messaggio satirico non solo non è coerente, ma collide clamorosamente con la qualità della dimensione pubblica di Obama. La circostanza che Obama è il primo presidente nero di uno Stato che fu tra gli ultimi ad abolire la schiavitù e la discriminazione razziale viene neutralizzata da un’affermazione che riporta i neri alla condizione di soggetti privi di ogni diritto, potendo essi esistere in natura, secondo una visione razzista, soltanto in qualità di bianchi abbronzati.

La battuta di Berlusconi su Obama sarebbe riconducibile al diritto di satira soltanto in un ordinamento che pratica la discriminazione razziale, che cioè considera soggetto di diritto solo il bianco, sebbene abbronzato. Un ordinamento, cioè, nel quale fruitore della satira è un pubblico razzista, che è poi il target al quale Berlusconi, volente o nolente, ha strizzato l’occhio pronunciando quella imbarazzante frase.

Tuttavia, va precisato che quello commesso da Berlusconi è un reato difficilmente perseguibile, perlomeno in Italia, perché commesso all’estero (Mosca). A meno che non lo si consideri “delitto politico”, così da poterlo perseguire anche se commesso all’estero, peraltro a richiesta del ministro della Giustizia. Per l’art. 8 del codice penale va considerato “delitto politico” il delitto “che offende un interesse politico dello Stato”. Ma non vi sono state rotture diplomatiche con gli Stati Uniti, o cose del genere. In conclusione, quella battuta è destinata a rimanere una figuraccia.