Il signor tv e Ciancimino

Nel marzo 1987 viene pubblicato il libro dal titolo “Berlusconi, inchiesta sul signor TV”, scritto dai giornalisti G.R. e M.S. Il libro parla dell’ascesa imprenditoriale di Silvio Berlusconi e di come abbia costruito il suo impero mediatico. Il libro si sofferma sulle tappe critiche di questa ascesa: il forte legame con quegli ambienti politici che negli anni ’80 gli hanno permesso di sostenere la concorrenza della TV pubblica e superare tramite leggi ad hoc gli “oscuramenti” imposti dalla magistratura, le sue partecipazioni ad importanti emittenti private straniere, le irregolarità nella redazione dei bilanci, le acrobazie nell’imprenditoria edilizia.

Vengono altresì analizzati gli intensi rapporti esistenti tra i fratelli Dell’Utri, strettissimi collaboratori di Berlusconi, ed elementi di spicco della mafia. Vengono “ipotizzati” rapporti diretti tra Berlusconi e l’ex sindaco di Palermo Vito Ciancimino, coinvolto in gravi vicende di mafia.

Berlusconi legge il libro e lo reputa gravemente diffamatorio “dalla prima all’ultima parola”. E cita in giudizio dinanzi al Tribunale di Roma i due autori e la casa editrice. Il Tribunale verifica le fonti da cui sono stati appresi i fatti: provvedimenti giudiziari, rapporti di polizia giudiziaria, atti di commissioni parlamentari di inchiesta, relazioni di organi ministeriali, atti di società regolarmente depositati presso uffici pubblici, etc. Propende per il riconoscimento del diritto di cronaca in quanto tutti i fatti narrati sono “veri” perché ufficiali. Tutti tranne uno: il rapporto diretto tra Silvio Berlusconi e Vito Ciancimino. Pertanto, accoglie la richiesta di risarcimento danni per lesione della reputazione affermando che “Viola il requisito della continenza formale il riproporre insistentemente una ipotesi dopo averla espressamente dichiarata non provata, quando si produce l’effetto di riproporre un accostamento tra un personaggio e circostanze svoltesi in altro ambito, che suggestivamente induca il lettore a ritenere fondato un fatto in realtà privo di ogni altro riscontro”.

(Trib. Roma 2 maggio 1995)
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Il Tribunale ha riconosciuto la lesione della reputazione di Silvio Berlusconi con riferimento ad un passaggio del libro: quello che ipotizza il rapporto tra lo stesso e Vito Ciancimino, ex sindaco di Palermo condannato perché colluso con la mafia.

I fatti “veri” di questo passaggio, veri in quanto provenienti da fonti ufficiali, riguardano il rapporto diretto tra i fratelli Marcello e Alberto Dell’Utri, stretti collaboratori di Silvio Berlusconi e curatori di buona parte dei suoi interessi economici, e personaggi mafiosi di spicco, strettamente legati a Vito Ciancimino. Vi sono molte intercettazioni di conversazioni telefoniche intercorse tra i fratelli Dell’Utri e “un pericolosissimo pregiudicato mafioso” vicino a Ciancimino. Nel corso di alcune di queste, è proprio Berlusconi e le sue aziende l’argomento di discussione. Ma a parte ciò, non si rinvengono prove di rapporti diretti tra Berlusconi e Ciancimino.

La mancanza di prove dirette è una conclusione affermata dagli stessi autori. Questi, però, insistono più volte sulla origine della notizia, sul carattere ufficiale delle varie fonti, sugli strettissimi rapporti di fiducia e di collaborazione esistenti tra Berlusconi e i fratelli Dell’Utri, e tra questi ultimi e gli esponenti mafiosi legati a Ciancimino. Il tutto – a parere dei giudici – allo scopo di suggestionare il lettore fino a consegnargli la prova mancante di un rapporto diretto tra Berlusconi e Ciancimino.

Secondo i giudici, quindi, quello praticato dai due giornalisti è un classico esempio di violazione del requisito della continenza formale attraverso un accostamento suggestionante. Se il rapporto diretto tra Berlusconi e Ciancimino è ufficialmente un fatto inesistente, si fa leva sui fatti noti (rapporto Berlusconi/Dell’Utri, Dell’Utri/uomini di Ciancimino) valorizzando al massimo un mero dato logico (rapporto Berlusconi Ciancimino) e inducendo il lettore a considerarlo alla stregua di “fatto provato”.

La continenza formale ha la funzione di garantire che il lettore, entrando a contatto con il fatto, non subisca condizionamenti nella sua valutazione. Il lettore deve ricevere il messaggio informativo così come è uscito dalla fonte che l’ha rivelato, operare le proprie valutazioni e trarre le necessarie conclusioni senza alcun suggerimento da parte del giornalista. Questo è indispensabile per l’obiettività della notizia.

Nel caso in questione, la violazione del requisito della continenza formale starebbe, a parere dei giudici, proprio nell’avere il giornalista indicato al lettore implicitamente, ma insistentemente, il dato logico da valorizzare, il modo per arrivare altrimenti alla prova dei rapporti tra Berlusconi e la Mafia. Un processo logico del tutto legittimo, ma che avrebbe dovuto essere compiuto autonomamente dal lettore, e non suggerito dal giornalista.