Il falso inviato di 'Striscia la notizia'

Nel gennaio 2003 “Striscia la notizia”, il tg satirico di Canale5, manda in onda una serie di filmati che mostrano un tentativo di truffa ai danni dei sindaci di Asiago e Roana. Il truffatore viene ricevuto presso i locali del comune insieme a due complici. Millanta stretti rapporti proprio con la redazione di “Striscia la notizia” e propone ai due sindaci la trasmissione di servizi su questioni di interesse comunale in cambio di denaro. In particolare, assicura la trasmissione di servizi sulla prospettata chiusura di alcuni presidi sanitari, argomento caro ai due sindaci.

Come sempre accade, i filmati terminano con lo smascheramento “in diretta” dei truffatori proprio ad opera delle telecamere di “Striscia la notizia”. Nel trasmettere tutti i filmati che compongono il servizio, la redazione non adopera alcun accorgimento per impedire la completa identificazione dei truffatori, i cui connotati vengono così dati in pasto ad un vasto pubblico.

I tre sprovveduti segnalano il tutto al Garante per la Protezione dei Dati Personali, adducendo gravi violazioni della privacy. Il Garante ritiene di interesse pubblico “la segnalazione di un grave episodio di malcostume […] suscettibile di gettare un’ombra sulla correttezza dell’operato di una trasmissione giornalistica […] in ordine ai criteri di selezione delle notizie da trasmettere”, soprattutto considerando “la peculiarità del programma televisivo, noto al pubblico per denunce di prassi scorrette e fenomeni di malcostume”.

Tuttavia, per il Garante “non risulta giustificata la diffusione dell’immagine dei segnalanti”, non essendo necessaria a “soddisfare un’esigenza effettiva di informazione della collettività”. Trattandosi di “soggetti sconosciuti alla generalità e che non svolgevano alcuna funzione di rilevanza pubblica, l’esigenza di informazione della collettività sarebbe stata comunque appagata consentendo agli ascoltatori di formarsi una chiara opinione sulla vicenda e di identificare eventualmente solo i loro nomi, e astenendosi invece dalla diffusione del loro volto, ricorrendo a tecniche di mascheramento spesso utilizzate nella medesima trasmissione”.

Il Garante conclude segnalando ai due sindaci e a Mediaset S.p.a. “la necessità di conformare i trattamenti di dati personali ai principi richiamati nel presente provvedimento, anche in relazione al loro ulteriore trattamento”.

(Garante per la Protezione dei Dati Personali, 2 dicembre 2003)
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L’interesse pubblico alla notizia qui è dato prevalentemente dalla curiosa circostanza che i truffatori avevano millantato decisivi rapporti proprio con la trasmissione che li ha poi smascherati. Un interesse pubblico, quindi, che nasce più in un contesto di satira che di cronaca.

Limitatamente all’aspetto della cronaca, l’utilità sociale alla diffusione della notizia potrebbe riguardare quei soggetti istituzionali potenzialmente destinatari di ulteriori proposte da parte dei tre truffatori, o di possibili emuli. Un sindaco che, dopo la messa in onda dei filmati, si vedesse rivolgere simili proposte da un sedicente collaboratore di “Striscia la notizia”, potrebbe agevolmente intuire e prevenire la truffa.

Ed è questa la ragione per la quale la diffusione delle immagini integrali dei truffatori non può ritenersi legittima. Se l’area delle potenziali “vittime” è delimitata (anche in ragione della specifica prestazione che i tre garantiscono in cambio di denaro) non vi è alcuna ragione di consegnare al pubblico ludibrio tre maldestri truffatori quando non è la collettività indiscriminata ad essere minacciata.

Per chiarire il concetto, si pensi ad altri casi prontamente denunciati da “Striscia la notizia”. Sedicenti guaritori che promettono di guarire un malato con pozioni miracolose in cambio di ingenti somme. Medici abusivi che mettono a repentaglio la salute del consumatore. Improbabili familiari di capi di Stato che, attraverso messaggi di posta elettronica, offrono grosse provvigioni per prendere in custodia una valigia contenente parecchi milioni di Euro, ma a fronte di una spesa di qualche migliaio per avviare la relativa “pratica burocratica”.

In questi casi, l’interesse pubblico riguarda non solo la notizia in sé, ma anche l’identificazione visiva dei responsabili. Innanzitutto, questi soggetti esplicano un’azione che può interessare un numero indeterminato di persone. Inoltre, se non fossero identificati nei connotati, potrebbero reiterare le truffe magari modificando modus operandi e luogo di attività, quel tanto che basta per scongiurare il rischio di essere riconosciuti. Qui ricorre quella “rilevanza sociale della notizia o dell’immagine” che l’art. 8, comma 1°, codice di deontologia richiede perché l’immagine di una persona possa essere diffusa a prescindere dal suo consenso.

Nel caso in commento, invece, non si può dire che il comportamento dei tre truffatori sia potenzialmente pericoloso per un numero indeterminato di persone, essendo quella truffa qualificata e strutturalmente mirata a colpire precise figure istituzionali, alle quali basterebbe una telefonata di controllo alla redazione di “Striscia la notizia”. In altre parole, è solo la conoscenza del fatto in sé ad essere oggetto di interesse pubblico e a renderne ardua la replica da parte degli stessi soggetti. Al contrario, la replica degli altri tipi di truffa da parte dei loro autori è impedita soltanto dalla loro piena riconoscibilità in conseguenza della identificazione visiva.

Ineccepibile, quindi, la decisione del Garante. Tuttavia, il suo ragionamento appare viziato da un’imprecisione quando esclude che la diffusione delle immagini dei truffatori possa soddisfare un’esigenza informativa della collettività riguardando “soggetti sconosciuti alla generalità e che non svolgevano alcuna funzione di rilevanza pubblica”.

Un’affermazione francamente poco comprensibile, che dà più importanza al protagonista che non al valore sociale della denuncia. Se è vero che l’eventuale notorietà dei truffatori (ipotesi peraltro teorica) avrebbe certamente legittimato la diffusione dei loro connotati, non si può in generale escludere la legittimità della diffusione di un’immagine solo perché riferita ad un soggetto anonimo. I casi, prima visti, legittimano la diffusione dell’immagine di soggetti anonimi perché il loro raggio di azione interessa e minaccia un numero indeterminato di persone (elemento assente nel caso in commento). Ciò che legittima la diffusione dell’immagine non è la notorietà del soggetto, ma l’interesse della collettività alla sua acquisizione. Interesse che, negli esempi prima fatti, sussiste proprio in un’ottica di tutela della collettività.