La macchietta del regista Vanzina

Nel novembre 1988 sulla rete televisiva “Italia1” va in onda “Megasalvishow”, scritto e interpretato dal comico Francesco Salvi. Il programma satirico, interamente preregistrato, è trasmesso tre volte alla settimana e ha una durata di 12 minuti. E’ un susseguirsi di macchiette, tutte impersonate dal comico Salvi e riferite a personaggi di fantasia. Tutti tranne uno, la cui interpretazione è sempre preceduta da una voce fuori campo che annuncia: “Ed ecco a voi il grande regista italiano Carlo Vanzina!”.

In quasi tutte le scene dedicate al Vanzina, questi appare seduto sulla sedia sommerso da metri di pellicola, spesso addormentato e balbettante frasi il più delle volte sconnesse, con inflessione romanesca. Fa uso di una pipa che a volte perde, altre volte si infila nell’orecchio. Giocherella con la cinepresa e fa boccacce strane. Dice che vuole fare “un film sulla pipa”; che riesce a girare un film “in un’ora e un quarto”; che il suo pubblico nei cinema“entra distratto ed esce distrutto”; che è molto colto, tanto da aver acquistato “i diritti del film Dagli appennini alle Ande di Kipling”; che vuole fare “un film giallo” mentre arrotola sulla cinepresa un metro giallo da sarto; cerca spesso di cambiare i canali della tv usando la cinepresa.

Carlo Vanzina ritiene quelle scene lesive della sua reputazione e ricorre d’urgenza al Pretore di Roma perché ne inibisca l’ulteriore messa in onda. Il Pretore giudica fondata la domanda, inibisce la cessione e la distribuzione a terzi delle sequenze relative al Vanzina, ma respinge la richiesta di inibitoria dal “Megasalvishow” trasmesso su “Italia 1”, affermando che “Va accolta l’istanza di tutela cautelare urgente avanzata da chi lamenti di essere stato oggetto di satira, senza che sussista un nesso di coerenza causale tra la sua notorietà e il messaggio satirico, e con modalità che offrano un’immagine forzosamente distorta della sua persona” e disponendo l’inserzione, prima dei titoli di testa del programma, della seguente precisazione: “Per ordine del Pretore di Roma, si avverte che la satira del regista Carlo Vanzina, realizzata da Francesco Salvi, è illecita perché strumentale rispetto all’intendimento del comico di creare la macchietta del regista demente”.

(Pret. Roma 16 febbraio 1989)
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La sentenza offre spunti interessanti, sia per quanto riguarda il rapporto tra dimensione pubblica del personaggio e contenuto del messaggio satirico, sia per la decisione di non inibire la programmazione in corso.

La sentenza sottolinea la mancanza del nesso di coerenza causale tra il contenuto del messaggio satirico ideato da Francesco Salvi sul Vanzina e il tipo di dimensione pubblica che caratterizza quest’ultimo. Il Vanzina è autore di film leggeri e di un certo successo commerciale. Ma francamente le sue apparizioni in tv sono rarissime, come le sue interviste. E’ quindi pressoché impossibile considerare il Vanzina come un personaggio che abbia più o meno consapevolmente contribuito a creare un circuito di intesa con il pubblico, tanto da poter confluire in un’opera satirica. E’ proprio ciò che vuol significare il Pretore quando dice che il Vanzina è un regista che “affida alle comunicazioni di massa il suo solo nome”.

La mancanza di un nesso di coerenza causale tra dimensione pubblica del Vanzina e messaggio satirico fa sì che il richiamo alla figura del regista da parte del comico Salvi sia puramente strumentale alla creazione di una macchietta. Nulla di quanto espresso dalla satira del Salvi può in qualche modo agganciarsi ad una presunta “vita pubblica” del Vanzina. Il messaggio satirico non sarebbe cambiato se al posto del Vanzina ci fosse stato un ipotetico regista Tizio, proprio perché tra il Vanzina e il pubblico non vi è quel “circuito di intesa” che invece fonda il diritto di satira. Come efficacemente sottolineato dalla difesa del Vanzina, il Salvi ha strumentalizzato il nome del regista al solo scopo di creare “la figura di un povero scemo”.

Una osservazione merita la decisione del Pretore di non inibire la programmazione del “Megasalvishow” contenente le sequenze satiriche interessanti il Vanzina. Probabilmente la decisione è stata influenzata dalla circostanza che il programma volgeva ormai al termine (mancavano solo 4 puntate). Ma è importante notare la sensibilità mostrata dal magistrato verso la problematica della libertà di satira.

Da un lato, avendo ritenuto il programma lesivo dei diritti del Vanzina, ha imposto l’inserimento del dispositivo nei suoi titoli di testa. Dall’altro, ha ritenuto “opportuno evitare interventi repressivi – che comunque assumerebbero una valenza censoria – proprio sul terreno delicatissimo e prezioso della satira, laddove è preferibile che sia il pubblico – meglio se opportunamente avvertito a giudicare”.

Certamente si tratta di una decisione che può anche non essere condivisa. Ma è da ammirare l’intento di tutelare al massimo il diritto costituzionale di satira attraverso la considerazione della censura come il peggiore dei mali. E, nel contempo, il tentativo di responsabilizzare il pubblico, una volta avvertito del carattere illegittimo dell’opera satirica. Una decisione che si contrappone decisamente alla tendenza, maturata in alcuni ambienti politici e in vari ambiti, a fare uso della censura a prescindere dalla emanazione di un provvedimento giudiziario, o in alcuni casi addirittura in opposizione ad esso.