Il deicidio di Forattini

Il 2 aprile 2002 un gruppo di palestinesi, braccato dall’esercito israeliano, si rifugia all’interno della Basilica della Natività di Betlemme, luogo di nascita di Gesù. I militari israeliani minacciano di entrare nella chiesa. Vogliono il rilascio di quattro palestinesi, accusati di aver assassinato Rehavam Zeevi, ministro del governo Sharon.

Il giorno successivo, il quotidiano “La Stampa” pubblica in prima pagina una vignetta di Giorgio Forattini dal titolo “Carri armati alla mangiatoia”. La vignetta raffigura un “tank” israeliano contrassegnato con la stella di David mentre punta il cannone verso una mangiatoia sulla quale un bambino impaurito, subito identificabile in Gesù per via dell’aureola sul capo, esclama: “Non vorranno mica farmi fuori un’altra volta?!”.

La vignetta provoca lo sdegno non soltanto del presidente dell’Unione delle Comunità Ebraiche Amos Luzzatto, che stigmatizza la riesumazione dell’accusa di deicidio, ma anche di diversi esponenti cattolici. Il direttore de “La Stampa” si dissocerà pubblicamente dal contenuto della vignetta.

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La vignetta di Forattini è stata occasionata da un fatto di cronaca di sicuro interesse pubblico, come l’assedio portato dalle forze militare israeliane alla Basilica della Natività di Betlemme nell’aprile 2002. Circostanza che impedisce di rinvenire nella vignetta una volontà di offesa gratuita, quindi di paragonarla alle tante circolanti vignette antisemite. E’ da vedere, però, se il collegamento con un fatto di cronaca di indubbio interesse pubblico sia di per sé sufficiente a ricondurre la vignetta nell’ambito del diritto di satira.

Ciò che ha fatto gridare allo scandalo è l’avere Forattini attribuito al bambino adagiato sulla mangiatoia la frase “Non vorranno mica farmi fuori un’altra volta?!”, rivolta al mezzo militare israeliano. E’ esplicita l’allusione all’assassinio di Gesù, accusa che da due millenni pesa sul popolo ebraico.

Qui va fatta una premessa. L’accusa di deicidio viene considerata dagli ebrei come la causa di tutte le persecuzioni subìte. Un’accusa storicamente fomentata dalla stessa Chiesa Cattolica. Questa, infatti, aveva sempre motivato con l’uccisione del figlio di Dio per mano degli ebrei di Gerusalemme la maledizione che Dio stesso avrebbe lanciato sulle future generazioni israelite.

Naturalmente gli ebrei si sono sempre opposti ad una interpretazione dei fatti che li indica come i carnefici di Gesù. Autoproclamatosi Messia, Gesù fu giudicato dal Sinedrio ebraico, un organo con competenze giurisdizionali ma totalmente subordinato al potere di Roma. Il Sinedrio lo giudicò colpevole di sedizione e di bestemmia, non avendo riconosciuto in lui il Messia. E, sulla base dell’accertamento di quei reati, lo consegnò a Ponzio Pilato, che lo condannò alla crocifissione, materialmente eseguita da soldati romani. Sia perché il Sinedrio era certo di non avere di fronte il figlio di Dio ma solo un impostore; sia perché, non essendo dotato di autonomi poteri, si era limitato a consegnare Gesù ai Romani (come peraltro imponeva la stessa legge romana), gli ebrei hanno sempre negato l’accusa di “deicidio” e rifiutato la conseguente responsabilità collettiva loro attribuita come popolo deicida.

Non si può certo stabilire in questa sede la verità dei fatti che portarono alla crocifissione di Gesù. Ma una cosa è certa. Il messaggio satirico contenuto nella vignetta di Forattini imputa l’uccisione di Gesù in maniera diretta agli ebrei dell’epoca. Ed è un messaggio che non può ritenersi in coerenza causale con l’attuale dimensione pubblica del popolo ebraico. Perché quell'accusa, lungi dal poter essere considerata un comune modo di sentire, è semmai nota come la giustificazione addotta nei secoli dalla Chiesa Cattolica per avallare le persecuzioni contro gli ebrei. Ritenere il messaggio satirico della vignetta di Forattini in coerenza causale con la dimensione pubblica del popolo ebraico significherebbe sposare una tesi antisemita.

Ma vi è un fatto di grande importanza da tenere nella massima considerazione: le conclusioni adottate dal Concilio Vaticano II nel 1965. Nella Dichiarazione “Nostra Aetate” si legge che “Se autorità ebraiche si sono adoperate per la morte di Cristo, tuttavia quanto è stato commesso durante la sua Passione non può essere imputato né indistintamente a tutti gli ebrei allora viventi, né agli ebrei del nostro tempo”.

E’ una dichiarazione solenne, proveniente da un organo al quale, per ovvi motivi, va attribuita dignità di fonte ufficiale per ciò che riguarda l’analisi e l’interpretazione dei fatti che portarono alla morte di Gesù. Dunque, persino la Chiesa Cattolica, che storicamente ha fatto leva proprio sull’accusa di deicidio per giustificare le persecuzioni ai danni degli ebrei, a partire dal Concilio Vaticano II considera assolutamente infondato il giudizio di responsabilità collettiva del popolo ebraico per la morte di Gesù.

E non c’è dubbio che la vignetta di Forattini contrasti apertamente con le stesse conclusioni del Concilio Vaticano II, in quanto non si limita ad esplicitare che la morte di Gesù avvenne per mano esclusiva degli ebrei, ma addirittura riesuma l’accusa di deicidio. A peggiorare le cose, infatti, vi è il particolare della stella di David. E’ noto che quel simbolo appare soltanto sui mezzi civili israeliani. Forattini, invece, la mette in bella evidenza sul carro armato puntato contro Gesù. Un particolare, questo, niente affatto marginale per un ebreo. Significa che la vignetta imputa la morte di Gesù non ad una ristretta cerchia di persone vissute duemila anni fa, come va considerato il Sinedrio ebraico, ma a chiunque si riconosca nel simbolo della stella di David. La vignetta è quindi la raffigurazione della responsabilità collettiva del popolo ebraico per la morte di Gesù.

E non pare esserci una sostanziale differenza tra la vignetta di Forattini e quella apparsa nello stesso periodo su un sito arabo: un soldato con la stella di David che trafigge con la baionetta un ragazzo accasciato sulle ginocchia della madre con le vesti della Madonna. In alto, una scritta in arabo tradotta in inglese: “Do not kill him twice”.

Al di là delle intime e reali intenzioni dello stesso autore, bisogna concludere che con quella vignetta, di chiaro stampo antisemita, Forattini ha commesso il reato di vilipendio della religione ebraica.