Amanti e tangenti

Il 16 agosto 1993 appare sul quotidiano “La Repubblica” un articolo dal titolo “Tradito dalle donne il boss delle tangenti”. Si riferisce all’arresto del presidente del Consorzio autostrada Messina Catania per alcuni episodi di corruzione. Spiega nei particolari le tappe che hanno portato alla scoperta del giro di tangenti attorno alla gestione del tratto autostradale, secondo quanto appreso dalle fonti investigative.

L’articolo divulga anche le modalità con le quali gli investigatori sono giunti al personaggio chiave della vicenda. La denuncia sarebbe partita dalla sua amante, tale O.O., fermata alla frontiera con la Svizzera in possesso di una valigetta contenente denaro e documenti compromettenti. Il nome di O.O. viene riportato sul quotidiano, così come il suo status di donna sposata e amante dell’arrestato.

O.O. trova l’articolo diffamatorio e cita in giudizio dinanzi al Tribunale di Roma il direttore responsabile chiedendo il risarcimento dei danni. Il Tribunale accoglie la domanda, decisione poi confermata dalla Corte d’Appello di Roma. Il direttore responsabile ricorre per Cassazione.

La Corte di Cassazione respinge il ricorso proposto dal direttore responsabile, confermando la sentenza di condanna. La Suprema Corte riconosce “l’importanza delle inchieste giornalistiche in una società democratica”, ma nello stesso tempo afferma che “Quando compie queste inchieste, il giornalista deve assumersi direttamente l’onere non solo di verificare la verità delle notizie, ma anche di dimostrarne la pubblica rilevanza”.

(Cass. 7 luglio 1998, n. 8031)
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I fatti riportati sul quotidiano risultano appresi da fonti ufficiali. Se ciò non pone alcun problema in ordine alla loro verità (anche putativa), lo stesso non può dirsi riguardo all’interesse pubblico sotteso alla loro diffusione. Non tutto ciò che proviene da una fonte ufficiale è divulgabile.

Non c’è dubbio che la divulgazione di fatti relativi ad episodi di corruzione riguardanti il presidente del Consorzio sia giustificata da un interesse pubblico, poiché la collettività ha il diritto di essere puntualmente informata del comportamento illecito di pubblici funzionari, o comunque di persone preposte alla gestione di un pubblico servizio. Lo stesso non può dirsi per quanto riguarda la vicenda di O.O.

O.O. era risultata estranea al giro di tangenti che ruotava attorno alla figura del presidente del Consorzio. Rappresentava solo il mezzo attraverso il quale gli inquirenti erano venuti a conoscenza del giro di corruzione. Di interesse pubblico era l’attività che ruotava attorno al presidente del Consorzio; non certo la figura, assolutamente marginale, di O.O. Una volta appurata la sua sostanziale estraneità, non vi era alcun reale interesse pubblico alla diffusione del suo nome.

Ma la violazione più grave è la divulgazione della relazione tra O.O. e il presidente del Consorzio. Rivelare che fossero amanti non ha certo contribuito a fornire al pubblico un’informazione più completa e obiettiva. In effetti, non vi è alcun collegamento tra l’essere un “boss delle tangenti” e avere un’amante. Semmai ha causato un danno ad entrambi, dal momento che erano sposati. Una notizia fornita non certo per soddisfare un interesse pubblico reale e degno di tutela, ma solo per assecondare una curiosità morbosa che in casi simili non andrebbe incoraggiata. Dunque, una palese violazione del diritto alla riservatezza.