L'intervento delle Sezioni Unite

Nel marzo ’96 il quotidiano “Il Giornale di Napoli” pubblica un’intervista a G.G. consigliere regionale, contenente pesanti apprezzamenti su D.C., allora presidente dell’Assomercati. Quest’ultimo viene descritto come “un faccendiere, un opportunista che cerca solo intrallazzi”.

D.C. cita in giudizio dinanzi al Tribunale di Napoli articolista e intervistato per lesione alla reputazione. Il Tribunale condanna entrambi a risarcire i danni. La Corte d’Appello di Napoli conferma la sentenza. Articolista e intervistato ricorrono per Cassazione.

Essendo sorto sulla questione un contrasto giurisprudenziale, il ricorso viene rimesso alle Sezioni Unite della Corte di Cassazione. Queste affermano che “Il giornalista che diffonda un’intervista lesiva dell’altrui reputazione può essere sollevato da responsabilità per diffamazione allorquando l’intervistato occupi una posizione di alto rilievo nell’ambito della vita politica, sociale, economica, scientifica, culturale; in questo caso, infatti, il requisito dell’interesse sociale della notizia può assumere una tale rilevanza da comportarne la prevalenza su quello della verità e della continenza”.

Pretendere che il giornalista intervistatore controlli in ogni caso la verità storica del contenuto dell’intervista” – proseguono le Sezioni Unite – “potrebbe comportare una grave limitazione alla libertà di stampa […]. Ugualmente, pretendere che il giornalista si astenga dal pubblicare un’intervista, sempre rilasciata da un personaggio di indubbio rilievo nell’ambito della vita pubblica, perché contenente espressioni offensive ai danni di altro personaggio noto, significherebbe comprimere il diritto dovere di informare l’opinione pubblica su tale evento, non potendo attribuirsi al giornalista il compito di purgare il contenuto dell’intervista dalle espressioni offensive, sia perché gli verrebbe attribuito un potere di censura che non gli compete, sia perché la notizia, costituita appunto dal giudizio non lusinghiero, espresso con parole forti da un personaggio noto all’indirizzo di altro personaggio noto, verrebbe ad essere svuotata del suo reale significato”.

Infine, per le Sezioni Unite il giudice di merito dovrà accertare caso per caso “l’effettivo grado di rilevanza pubblica delle dichiarazioni altrui, il contenuto valutativo e descrittivo nel quale sono riportate, la plausibilità e l’occasione di tali dichiarazioni”. Ciò al fine di valutare se il giornalista “abbia assunto la prospettiva del terzo osservatore dei fatti ovvero sia solo un dissimulato coautore della dichiarazione diffamatoria”.

(Cass., Sez. Un., 16 ottobre 2001, n. 37140)
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A volte una sentenza emessa dalla Corte di Cassazione a Sezioni Unite produce un cambiamento epocale. Questo è uno di quei casi. Qui le Sezioni Unite, rilevato il contrasto giurisprudenziale, intervengono per avallare definitivamente l’orientamento che vede il giornalista funzionalmente dissociato dal contenuto delle dichiarazioni del terzo. Il giornalista non è più visto come complice del diffamatore, ma come informatore obiettivo di una dichiarazione di pubblico interesse. Qui l’esigenza pubblica da soddisfare non è più la verità dell’informazione, ma la conoscenza dell’informazione.

Interessante l’affermazione delle Sezioni Unite sul giornalista come “terzo osservatore”. E’ il presupposto su cui si fonda la responsabilità esclusiva di chi fa le dichiarazioni diffamatorie. Il giornalista deve essere un semplice veicolo delle dichiarazioni altrui, senza prendere posizione a riguardo. L’esonero da responsabilità del giornalista deriva dal suo essere spettatore di un fatto (la dichiarazione del terzo) e dal riportare integralmente tale fatto. Proprio come farebbe se dovesse riferire un accadimento cui ha assistito. Ciò significa che non potrà enfatizzare le affermazioni del terzo. Diversamente, violerebbe il requisito della verità.

In ogni caso, l’attività del giornalista che riporti dichiarazioni altrui costituirà cronaca. Ciò anche se le dichiarazioni del terzo rientrino nel concetto di critica (il più delle volte, per la verità), o addirittura nel concetto di satira, se le dichiarazioni siano per gran parte basate sull’ironia e il dileggio. Ciò rafforza l’idea della dichiarazione del terzo come evento di interesse pubblico, a prescindere dal suo contenuto.