IL DIRITTO ALL'IDENTITA' PERSONALE

Nei casi fin qui esaminati si sono affrontate le problematiche basate sulla lesione del diritto all’onore, al decoro, alla reputazione. Questi hanno sempre rappresentato, in ogni epoca storica, valori della persona tutelati attraverso la previsione specifica di reati come l’ingiuria e la diffamazione. Con l’avvento della Costituzione, la tutela di quei valori ha trovato formale riconoscimento nell’art. 2 Cost., che garantisce i diritti inviolabili dell’individuo.

Caratteristica principale dell’art. 2 Cost. è il suo essere norma “aperta”. Un contenitore nel quale vengono gradualmente inseriti nuovi “valori” della persona da parte di chi ha il compito di scorgerli nella società in una data epoca storica e ritenerli meritevoli di tutela. Di fronte all’inerzia del Legislatore, insostituibile interprete di questo ruolo è stata la giurisprudenza.

E’ il caso del diritto all'identità personale. Ogni individuo ha il diritto di vedersi descritto esattamente così come è, senza inesattezze che ne stravolgano la personalità agli occhi del pubblico. L’identità personale, quindi, attiene alla proiezione del nel sociale. Alla base della sua violazione non vi è alcuna offesa, ma solo una distorta rappresentazione della personalità, dei suoi tratti e dei comportamenti che la caratterizzano. Dal punto di vista della cronaca, la lesione del diritto all’identità personale si sostanzia in una violazione del requisito della verità. Non dà luogo ad un reato, ma produce comunque quel danno ingiusto presente in ogni lesione di un diritto della personalità. Un illecito civile, che legittima una richiesta di risarcimento danni perché riconducibile a “qualunque fatto doloso o colposo che cagiona ad altri un danno ingiusto” (art. 2043 del codice civile).

In verità, tracce di quello che in seguito assurgerà a diritto fondamentale ex art. 2 Cost., erano già rinvenibili nella Legge 8 febbraio 1948, n. 47 (“Legge sulla stampa”), il cui art. 8 imponeva (e impone tuttora) al direttore responsabile di far inserire le dichiarazioni o le rettifiche dei soggetti “ai quali siano stati attribuiti atti o pensieri o affermazioni da essi ritenuti lesivi della loro dignità o contrari a verità”.

Tale disposizione evidentemente distingueva, fin dalla nascita, i casi di diffamazione a mezzo stampa da quelli in cui si prescinde dalla lesione alla reputazione e si esige soltanto la corrispondenza alla realtà di quanto pubblicato. Ma all’epoca della emanazione della legge sulla stampa, la Costituzione era stata promulgata da poco più di un mese. E’ quindi impossibile che il Legislatore pensasse ad un autonomo diritto inviolabile, ricavabile dall’art. 2 Cost., leso dalla pubblicazione di una notizia falsa ma priva di capacità “offensiva”. Quella norma pretendeva solo che l’informazione a mezzo stampa fosse obiettiva, arrivando a predisporre lo strumento della rettifica. Ma non poteva certo essere interpretata nel senso di prevedere un autonomo fatto illecito, per una notizia non vera ma in fondo “rispettosa” della persona.

Ci vorrà un quarto di secolo prima che il diritto all’identità personale venga riconosciuto come inviolabile. Il diffondere una notizia che consegna al pubblico una persona “diversa” pur rispettandone la dignità, sarà considerato illecito dalla giurisprudenza soltanto a partire dalla metà degli anni ’70. L’occasione sarà la campagna referendaria per l’abrogazione della legge sul divorzio.

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