Marco Pannella 'amico' dei brigatisti

Il 12 luglio 1981 viene consegnata a “Teleroma 56”, emittente vicina al Partito Radicale, una videocassetta contenente alcune fasi del “processo proletario” cui le Brigate Rosse stanno sottoponendo l’assessore alla regione Campania Ciro Cirillo, da qualche mese nelle loro mani.

Qualche giorno dopo, il 17 luglio, i Radicali convocano una conferenza stampa nella sede del loro gruppo parlamentare per discutere sull’opportunità di far trasmettere il filmato in televisione. Nel corso della conferenza stampa viene proiettato il video con i titoli inseriti dai brigatisti.

Al termine della proiezione, Marco Pannella ha parole di fuoco per i brigatisti. Li definisce “assassini e torturatori”. Li avverte che qualunque esito avesse la vicenda, il video verrà trasmesso dalla televisione pubblica per 24 ore di seguito “in modo assolutamente ossessivo, per consentire a tutti di leggere e comprendere”. Li invita a rilasciare l’ostaggio e a “mettere nel conto” questo avvertimento. Conclude affermando che “assassinare una persona è la logica dei vili, perché assassinare è più facile che liberare”.

Il giorno seguente sul quotidiano “La Repubblica” appare un articolo a firma G.R. In esso si legge che “Pannella ha praticamente invitato i compagni assassini ad avanzare le loro richieste perché una trattativa sia possibile, dando il via alla trattativa stessa con la promessa di diffondere a ripetizione tutto il filmato dopo la liberazione (o la morte) di Cirillo”. Tutto ciò – prosegue l’articolista – “nella sede del loro gruppo, nel cuore stesso del Parlamento, il centro delle istituzioni del paese, il baluardo del patto costituzionale tra le forze politiche”.

Marco Pannella e il Partito Radicale citano in giudizio dinanzi al Tribunale di Roma articolista, direttore responsabile ed editore. Accusano il quotidiano di aver completamente stravolto la loro posizione nei riguardi dei brigatisti e chiedono il risarcimento dei danni per violazione del diritto all’identità personale.

Il Tribunale di Roma accoglie la richiesta, condannando i convenuti al pagamento di 70.000.000 di Lire. Con specifico riferimento al leader radicale, i giudici fanno notare che Pannella è “esponente di un partito che professa il principio della non violenza e delle libertà individuali” e che “rappresentare Pannella come fautore di una trattativa coi terroristi significa attribuirgli condiscendenze, servilismi se non addirittura complicità morali con gli autori di delitti gravissimi”. Nel caso specifico riconoscono la lesione del diritto all’identità personale, descrivendolo come il diritto dell’individuo “a vedere rispettata la sua immagine di partecipe alla vita associata con le acquisizioni di idee ed esperienze, con le sue convinzioni ideologiche, morali, sociali, politiche e religiose che lo differenziano e al tempo stesso lo qualificano”.

(Trib. Roma 27 marzo 1984)
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E’ evidente che il comportamento tenuto da Pannella nel corso della conferenza stampa è stato completamente travisato dall’articolo giornalistico. Non vi sono dubbi sul fatto che quella indirizzata ai brigatisti dal leader radicale non era una dichiarazione di disponibilità alla trattativa. Pannella avverte i brigatisti che il video da loro girato sarebbe stato trasmesso dalla televisione pubblica per 24 ore di seguito in ogni caso, ossia indipendentemente dal come si sarebbe conclusa la vicenda. Ciò al dichiarato scopo di convincere il pubblico della crudeltà delle Brigate Rosse.

Un avvertimento del genere è incompatibile con la volontà di avviare una trattativa, soprattutto se si considerano gli aspri commenti di Pannella rivolti ai brigatisti. Nelle sue parole la messa in onda del video appare incondizionata. Quell’annuncio avrebbe potuto essere considerato il segno di una disponibilità alla trattativa soltanto qualora la divulgazione del “processo proletario” a carico di Cirillo fosse stata collegata alla sua liberazione.

Al di là del reale significato delle affermazioni di Pannella, non vi sono dubbi circa la lesione della sua identità personale attraverso una travisamento dei fatti. Non si può dire che vi sia stata lesione della reputazione (quindi diffamazione) poiché intavolare una trattativa per favorire la liberazione di un ostaggio non può certo considerarsi un comportamento riprovevole, anche se alcuni passi della sentenza sembrano far pensare il contrario. Il dialogo finalizzato alla liberazione degli ostaggi rappresentava (e continua a rappresentare oggi) una condotta condivisa e pretesa da vasti settori della società civile.

E’ chiaro, però, che in determinati momenti, attribuire a un leader politico un comportamento diverso, magari in contraddizione con quanto da lui in precedenza sostenuto, può pregiudicare il rapporto di fiducia che lo lega agli elettori, o anche alterare l’equilibrio con forze politiche affini. Ed è anche in questo che si sostanzia il danno provocato dalla lesione dell’identità personale (politica) di Pannella nel caso in questione.