Un suicidio annunciato

Nel gennaio 2006 gli organi di informazione danno la notizia del suicidio, avvenuto in un piccolo centro del nord Italia, di un ragazzo di 15 anni. Della vicenda si occupa in particolare un quotidiano del nord est, che fornisce ampi particolari della vicenda. Pubblica l’immagine del minore, i nomi propri dei genitori, indirizzo e numero civico di residenza, la fotografia dell’abitazione, nonché riferimenti alla salute psichica del minore. Nel tentativo di ricostruire in maniera dettagliata la vicenda, il quotidiano pubblica ampi stralci di un tema che il minore ha svolto in classe poche ore prima di togliersi la vita; e che, a detta del quotidiano, contiene alcuni passi che in qualche modo preannunciavano il tragico gesto.

I genitori del minore suicida ricorrono al Garante per la Protezione dei Dati Personali. Secondo il Garante “la diffusione delle informazioni relative all’abitazione della famiglia […] non ha rispettato il principio di essenzialità sancito dall’art. 137, comma 3°, del Codice della Privacy e dall’art. 6 del codice di deontologia, trattandosi di informazioni non indispensabili ad una illustrazione pur compiuta di una vicenda che avrebbe potuto formare ugualmente oggetto di una cronaca lecita ed articolata”. Per quanto riguarda le “modalità di acquisizione del tema da parte della testata, non può ritenersi dagli atti lecita la sua fuoriuscita dalla scuola, che non risulta concordata con la famiglia”.

Pertanto, il Garante “accoglie il ricorso limitatamente all’ulteriore trattamento delle informazioni specifiche relative all’abitazione della famiglia e alla pubblicazione di parti del tema svolto dallo scomparso”, ordinando all’editore titolare del trattamento “di astenersi dalla loro ulteriore diffusione a far data dal ricevimento del presente provvedimento”.

(Garante per la Protezione dei Dati Personali, 11 ottobre 2006)
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La tutela della riservatezza del minore suicida è certamente attenuata rispetto a quella garantita al minore in vita, non essendoci alcun processo di maturazione da preservare. Tuttavia, il giornalista è tenuto a non “enfatizzare quei particolari di cronaca che possono provocare effetti di suggestione o emulazione”, come precisa il “vademecum” del 1995 integrativo della Carta di Treviso. E’ questo l’unico limite posto alla cronaca quando tratta del suicidio di minori.

Difficile dire se e in quale misura la conoscenza dei passi del tema svolto a scuola dal ragazzo poco prima di suicidarsi abbia potuto produrre effetti di “suggestione” o di “emulazione”. Qui va preferita l’interpretazione che vincola il comportamento del giornalista ai casi in cui il minore sia soggetto attivo e in negativo della cronaca, proprio perché è difficile stabilire quando vi è il rischio che la cronaca di un suicidio possa provocare quella suggestione o emulazione purtroppo presente negli episodi di cronaca nera.

Di conseguenza, nel caso in questione il comportamento della testata giornalistica andrebbe valutato secondo altri criteri, ricollegabili alle plausibili cause che hanno indotto il minore a togliersi la vita. Se queste cause hanno un’origine in fatti il cui verificarsi crea allarme sociale, allora l’interesse pubblico alla loro conoscenza aumenta inevitabilmente. Se invece risiedono nella sfera intima del ragazzo, ossia generate da un processo psichico di maturazione rivelatosi problematico, allora non c’è motivo per intaccare la sua riservatezza né quella dei genitori.

Da quanto emerso, non sembra che il ragazzo soffrisse di disagi riconducibili a gravi cause esterne, come potrebbero essere, ad esempio, i maltrattamenti in famiglia o gli episodi di bullismo. E il contenuto del tema svolto in classe il giorno del suicidio, se da un lato può offrire validi spunti per una conoscenza della condizione psicologica in cui versava quel giorno il minore, dall’altro non può formare oggetto di cronaca, proprio perché la sua condiziona psicologica di per sé non va considerata di interesse pubblico.