Giudice Casson, narcisita ed esibizionista

In data 28.03.92 appariva su “Il Giornale” un articolo a firma C.M. dal titolo “Se il giudice fa lo storico chi pensa al crimine?”. L’articolo è un generale duro attacco alla magistratura, accusata di essere malata di “narcisismo esibizionistico”. In particolare si legge nell’articolo: “Casson scrive un romanzo di cento pagine per spiegare che non gli compete occuparsi di Gladio, altri magistrati si dedicano anch’essi all’archeologia politico giudiziaria, e intanto ottengono la libertà pessimi soggetti che poi spareranno e uccideranno […]”. Si legge anche: “L’Italia è affollata di giudici articolisti, di giudici partecipanti a dibattiti, di giudici che si candidano alle elezioni […] ma vivono in pace con un arretrato di processi che rimane pesante come un macigno […])/C)”.

Il magistrato Felice Casson non gradisce il collegamento tra il suo nome e quanto di negativo detto a proposito della magistratura italiana; e querela articolista e direttore responsabile per diffamazione. Il Tribunale di Monza riconosce la responsabilità penale di entrambi, affermando che “L’attribuzione di qualità narcisistiche ed esibizionistiche ad un magistrato, lungi dal rappresentare esercizio del diritto di critica, costituisce violazione delle più elementari regole di correttezza professionale, posto che, inserita nell’economia complessiva dell’articolo, diventa lo strumento utilizzato per una lettura in chiave negativa, anche dal punto di vista morale e non solo professionale, della personalità del magistrato descritto”.

(Trib. Monza 25 marzo 1994)
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Ciò che ha spinto il magistrato Casson a sporgere querela per diffamazione è stato l’accostamento del suo nome alle generiche accuse che l’articolista ha rivolto nei riguardi dell’intero corpo giudiziario. Casson era stato espressamente menzionato, infatti, solo per aver scritto “un romanzo di cento pagine per spiegare che non gli compete occuparsi di Gladio”. Ma Casson ha avvertito quelle critiche alla magistratura come se fossero dirette a lui personalmente. E i giudici di Monza gli hanno dato ragione.

La difesa di Casson ha avuto comunque gioco facile. Basando la querela per diffamazione sulla violazione del requisito della verità, ha dimostrato che la sentenza con cui Casson ha declinato la propria competenza territoriale sul “caso Gladio” non era di cento pagine, come diceva l’articolo, ma di trenta; ha sottolineato l’assoluta estraneità di Casson alla vita politica e giornalistica; ha prodotto un certificato dell’Ufficio Indagini Preliminari di Venezia (dove Casson svolge le proprie funzioni) che attestava la lodevole laboriosità del magistrato, per smentire la notizia che Casson vive “con un arretrato di processi che rimane pesante come un macigno”.

Se è vero che l’articolo ha riportato circostanze non vere, sembra comunque eccessivo ricondurlo al reato di diffamazione. A ben vedere, infatti, non sembra che la reputazione di Casson sia stata in qualche modo intaccata. Sinceramente non pare lesivo della reputazione dire che un giudice si dedica “all’archeologia politico giudiziaria”, o che è un “giudice articolista”, o un “giudice partecipante a dibattiti” o un “giudice che si candida alle elezioni”.

Al limite, si può dire che l’articolo ha prodotto una lesione del diritto all'identità personale, fornendo una rappresentazione del giudice Casson che si è rivelata assolutamente falsa. In sostanza, l’articolo ha stravolto la personalità individuale del Casson, consegnando al lettore una persona che sembra avere ben poco a che vedere con la funzione ufficialmente affidatagli, ossia quella di magistrato.

Una sentenza, quindi, non condivisibile unicamente per la scelta del diritto che si assume leso. L’avere il Tribunale optato per la lesione, più grave, della reputazione anziché dell’identità personale dimostra quanto la giurisprudenza tenda a limitare fortemente la libertà di critica quando questa ha come destinatari i magistrati, attraverso un’interpretazione estensiva del concetto di reputazione.