Un massone contro Cordova

Il 29 agosto 1994 G.P., Gran Maestro e Gran Segretario Generale dell’Unione Europea Massonica, invia a Presidente della Repubblica, Presidenti del Senato e della Camera, Presidente del Consiglio, Ministro di Grazia e Giustizia, Procuratore generale presso la Corte di Cassazione e Consiglio Superiore della Magistratura, una lettera in cui rivolge pesanti accuse nei riguardi di Agostino Cordova, già Procuratore della Repubblica di Palmi. La lettera lo indica come l’unico responsabile della rovina di quell’ufficio giudiziario, con “fascicoli spariti e un arretrato di diciannovemila processi, quattordicimila dei quali per reati prossimi alla prescrizione”, accusandolo di reati “contro lo Stato e il patrimonio” e di aver condotto l’indagine contro la massoneria solo perché l’avrebbe portato alla “ribalta televisiva”; di essersi impegnato in false inchieste lasciando liberi “assassini e mafiosi rientrati ad operare indisturbati nella piana di Gioia Tauro”.

La lettera giunge alla stampa e viene pubblicata pressoché integralmente da “Il Giornale” del 30 agosto in un articolo a firma F.S.

Cordova reputa l’articolo gravemente diffamatorio e cita in giudizio davanti al Tribunale di Roma l’articolista e il Gran Maestro. Il Tribunale li condanna entrambi a risarcire i danni causati a Cordova, ma la Corte d’Appello di Roma, in parziale riforma della sentenza di primo grado, pur confermandola sulla responsabilità del Gran Maestro, riconosce al giornalista la scriminante del diritto di cronaca. Cordova allora ricorre in Cassazione.

La Suprema Corte, nel confermare la sentenza d’appello, riconosce che il giornalista ha agito nell’esercizio del diritto di cronaca, sottolineando che “Le pubbliche dichiarazioni di chi ricopra importanti incarichi istituzionali sono di regola riferite quale che ne sia il contenuto, perché la notizia di cronaca consiste proprio nel riferire la dichiarazione in sé, non i fatti in essa rappresentati”.

(Cass. 22 aprile 1999, n. 5192)
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In verità, non si capisce bene come qui la Suprema Corte abbia potuto ricondurre il Gran Maestro dell’Unione Europea Massonica ad “importanti incarichi istituzionali”. Probabilmente la rilevanza della questione sollevata deriva, a giudizio della Suprema Corte, dall’importanza degli uffici ricoperti dai destinatari della missiva. Ma anche il destinatario delle dichiarazioni è un personaggio di primo piano.

E si tratta di dichiarazioni gravemente diffamatorie. Cordova viene accusato non solo di aver condotto la Procura da lui retta allo sfascio per incapacità gestionale, ma anche di aver commesso gravi reati. E’ chiaro che accuse simili, anche in considerazione del contesto in cui sono state formulate, vanno considerate di interesse pubblico.

In ogni caso, la sentenza ha un’importanza storica. Per la prima volta si mette in dubbio la validità della costruzione teorica che pone il giornalista sullo stesso piano di colui che rende le dichiarazioni diffamatorie. Va condivisa in pieno, trovando l’esatto punto di equilibrio tra libertà di informazione e tutela dell’individuo.

Correttamente la Suprema Corte pone l’accento sull’importanza della fonte. La rispondenza al vero dei fatti contenuti nella lettera passa in secondo piano. Ciò che diventa oggetto di interesse pubblico è l’evento dichiarazione, non il suo contenuto, che sfugge così al controllo di veridicità.

Ciò non significa che il controllo di veridicità non debba essere fatto. Significa che quel controllo rileva soltanto nei rapporti tra Cordova e Gran Maestro, ossia l’autore delle dichiarazioni. Il giornalista non deve temere l’eventuale pubblicazione di una notizia falsa, poiché la notizia non ha ad oggetto quei fatti, ma la dichiarazione in sé. Il requisito della verità è stato pienamente rispettato con la pubblicazione integrale della lettera.