Cogne e il fratello di Samuele

Il 30 gennaio 2002 a Cogne (Aosta) avviene l’omicidio del piccolo Samuele. Dopo alcune settimane viene arrestata Anna Maria Franzoni, madre di Samuele, con l’accusa di omicidio, peraltro scarcerata dopo breve tempo per il venir meno delle esigenze cautelari.

Gli organi di informazione si occupano ampiamente della vicenda, senza tralasciare dettagli relativi alla famiglia ma obiettivamente poco utili alla ricostruzione del fatto. Dettagli che riguardano anche il fratello di Samuele, di 7 anni. In particolare, il giorno in cui la Franzoni viene scarcerata, televisioni e giornali pubblicano una fotografia, carpita con un potente teleobiettivo, che lo ritrae mentre riceve la madre sulla soglia di casa con un cartello di benvenuto.

Nello stesso periodo viene anche aperto un sito web dedicato al piccolo Samuele, nel quale vengono pubblicate fotografie della famiglia nonché commenti del pubblico sulla vicenda. Vengono riportate addirittura le dichiarazioni rese dal fratello di Samuele al pubblico ministero incaricato delle indagini.

Tutto ciò provoca numerosi reclami al Garante per la Protezione dei Dati Personali, che decide di intervenire d’ufficio.

Il Garante sottolinea “la necessità di sottrarre il fratello della vittima all’attenzione degli organi di informazione”, dettata dalla “esigenza di evitare altri gravi condizionamenti sulla sua personalità, già gravemente turbata dai terribili eventi che hanno investito la sua famiglia”. Ricorda “l’obbligo per i giornalisti di trattare le informazioni di carattere personale nel rispetto dell’essenzialità delle informazioni stesse con riferimento alla rilevanza pubblica dei fatti riferiti”. Riscontra la violazione delle norme che vietano “la pubblicazione e la divulgazione, con qualsiasi mezzo, di notizie o immagini idonee ad identificare un minore comunque coinvolto in un reato” (art. 114, comma 6°, codice di procedura penale; art. 13, comma 1°, D.P.R. n. 448/1988). Sottolinea che l’immagine ritraente il fratello di Samuele con il cartello di benvenuto per la madre è stata tratta in violazione dell’art. 615 bis del codice penale.

Ciò premesso, il Garante, “fermo restando quanto di competenza dell’autorità giudiziaria […] segnala agli organi di informazione la necessità di conformarsi ai principi sopra richiamati” e “dispone l’invio del presente provvedimento al Consiglio nazionale dell’Ordine dei Giornalisti, nonché ai Consigli Regionali dell’Ordine medesimo”.

(Garante per la Protezione dei Dati Personali, 10 aprile 2002)
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Non c’è dubbio che l’efferatezza del delitto di Cogne abbia indotto gli organi di informazione (e lo stesso pubblico) a concentrarsi su aspetti che hanno ben poco a che vedere con il fatto in sé. Del resto, di fronte a simili casi il concetto di “sfera privata” subisce una sensibile restrizione. L’attenzione del pubblico è tale da rivolgersi inevitabilmente a particolari difficilmente riconducibili ad un obiettivo “interesse”.

Nel caso Cogne il concetto di “essenzialità dell’informazione” diventa evanescente. Tutto ciò che, direttamente o indirettamente, è riferibile alla famiglia Franzoni, ossia una “informazione anche dettagliata” che penetri nell'intimità dei protagonisti non contrasta con il rispetto della sfera privata, perché “indispensabile in ragione dell’originalità del fatto o della relativa descrizione dei modi particolari in cui è avvenuto, nonché della qualificazione dei protagonisti”, per dirla con l’art. 6 del codice di deontologia, che sancisce proprio il principio di essenzialità dell’informazione. E sulla contraddittorietà di questa norma già si è detto.

Tuttavia, vanno tenuti presenti i forti limiti che la cronaca incontra quando tratta di minori. Qui la tutela è rafforzata. Ed è proprio riguardo ai minori che il principio di essenzialità trova piena ed effettiva applicazione, perché quella “informazione anche dettagliata”, invasiva della sfera privata dei protagonisti ma parzialmente ammessa dall’art. 6, porterebbe alla identificazione del minore, che è vietata a priori.

La notizia del fratello di Samuele che sulla soglia di casa riceve la madre con in mano un cartello di benvenuto, senza dubbio rientra nella sfera privata della famiglia Franzoni. E, in teoria, la sua divulgazione può risultare indispensabile “in ragione […] della qualificazione dei protagonisti”, soprattutto se si considera il mistero che tuttora (anche se parzialmente) circonda il caso Cogne.

Ma la notizia riguarda un bambino di 7 anni, a tutela del quale il principio di essenzialità dell’informazione deve operare pienamente. Qui l’esigenza di una migliore qualificazione dei protagonisti, a scapito della sfera privata, cede il passo alle numerose norme che vietano di scandagliare la vita del minore. E non c’è dubbio che fotografare un bambino di 7 anni mentre esprime la propria felicità nel ricevere nella propria abitazione la madre appena uscita di galera, costituisce un atto invasivo della sua sfera privata.

Giusto anche il riferimento del Garante alla violazione di quelle norme che vietano di diffondere notizie idonee ad identificare un minore “comunque coinvolto in un reato” (art. 114, comma 6°, del codice di procedura penale; art. 13, comma 1°, D.P.R. n. 448/1988). Ciò vale sia per l’immagine del cartello di benvenuto, sia per quelle apparse sul sito web, insieme alle dichiarazioni rese dal fratello di Samuele al pubblico ministero incaricato delle indagini. Da precisare che all’epoca dei fatti (era il 2002) non era ancora in vigore il codice della privacy (D.Lgs. n. 196/2003) con i suoi artt. 50 e 52, che meglio definiranno i limiti alla divulgazione di notizie e immagini riguardanti minori coinvolti a qualsiasi titolo in procedimenti giudiziari (non solo penali).

Infine, è interessante il riferimento del Garante alla violazione dell’art. 615 bis del codice penale (“Interferenze illecite nella vita privata”), che punisce “chiunque, mediante l’uso di strumenti di ripresa visiva o sonora, si procura indebitamente notizie o immagini attinenti alla vita privata svolgentesi nei luoghi indicati nell’art. 614” (ossia il domicilio) e “chi rivela o diffonde, mediante qualsiasi mezzo di informazione al pubblico, le notizie o le immagini” in quei modi ottenute. In sostanza, la norma esclude categoricamente che (non i fatti bensì) le immagini attinte da un domicilio privato possano soddisfare un interesse pubblico.

E non c’è dubbio che la soglia di casa Franzoni, anche in considerazione delle ormai note caratteristiche tecniche della casa, vada trattata alla stregua di domicilio privato. Con la conseguenza che le immagini di quanto accade all’interno di quel domicilio, in assenza di qualsiasi consenso degli interessati, non possono rientrare nel diritto di cronaca.