Il 'caso Mele'

La mattina del 28 luglio 2007 a Roma una ragazza squillo viene ricoverata d’urgenza per overdose da cocaina, dopo aver passato la notte all'Hotel Flora di via Veneto con una collega a sniffare e a fornire prestazioni sessuali a Cosimo Mele, parlamentare Udc.

Secondo quanto appurato, è stato lo stesso parlamentare a portare la droga, salvo poi lasciare precipitosamente l’albergo non appena la squillo ha incominciato a dare segni inequivocabili di cedimento fisico. In poche ore Mele viene posto al centro della scena pubblica, e pochi giorni dopo è formalmente indagato dalla Procura della Repubblica di Roma per cessione di sostanze stupefacenti e omissione di soccorso.

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A ben vedere, il fatto in sé non può ritenersi significativo, avendo fortunatamente avuto un lieto fine (la ragazza si è ripresa subito dopo il ricovero). Il sentirsi male dopo un droga party non costituisce un fatto eccezionale, tale da giustificare una penetrazione nella sfera privata del protagonista da parte degli organi di informazione.

Ma ad attribuire al fatto in sé insignificante il rango di “notizia” è l’essere Cosimo Mele un membro del Parlamento, ossia un titolare di quelle funzioni pubbliche per il cui esercizio è stato delegato dalla collettività sovrana con il voto elettorale. Ma, soprattutto, l’appartenenza di Mele ad un partito (Udc) copromotore della “legge Fini Giovanardi”, che sanziona il semplice consumo di droga, nonché favorevole ad un giro di vite contro la prostituzione, considerata una piaga da arginare con il ricorso ad interventi repressivi.

Come spiegato in Il diritto alla riservatezza, un fatto in sé insignificante, relativo ad un personaggio pubblico, acquista interesse sociale quando è destinato ad incidere sull’attività che lega il personaggio alla collettività. Lo si ricava a contrario dall’art. 6, comma 2°, del codice di deontologia dei giornalisti, secondo cui “La sfera privata delle persone note o che esercitano funzioni pubbliche deve essere rispettata se le notizie o i dati non hanno alcun rilievo sul loro ruolo o sulla loro vita pubblica”.

Non c’è dubbio che i fatti, così come svoltisi in via Veneto, abbiano causato a danno dell’on. Mele un affievolimento del suo diritto alla riservatezza per l’emersione dell’interesse pubblico alla loro conoscenza. Si può dire, infatti, che l’attività pubbica dell’on. Mele, espletata grazie al voto dei suoi elettori, consiste logicamente (per quel che qui importa) nel contrastare sia i comportamenti umani previsti e puniti dalla “legge Fini Giovanardi”, sia quelli che in qualsiasi modo agevolano l’esercizio della prostituzione. Ed è innegabile che l’aver consumato un rapporto sessuale a pagamento e, nel contempo, assunto e ceduto sostanze stupefacenti insinua ogni legittimo dubbio sulla sua credibilità istituzionale.

Di fronte a ciò, la pubblicizzazione della vicenda non fa altro che ristabilire il rapporto tra on. Mele e collettività in termini di verità. E’ qui l’interesse pubblico alla notizia. Chi, attraverso il voto o un generico appoggio, ha riposto fiducia nell’operato dell’on. Mele, ha il diritto di conoscere tutti quei fatti che originano sì dalla sua sfera privata, ma che si pongono in stridente contrasto con il prodotto delle sue funzioni o con quanto da lui pubblicamente manifestato. Tra l’altro, a peggiorare le cose è la circostanza che mentre l’on. Mele si divertiva con le squillo sniffando cocaina, i suoi colleghi erano impegnati in Parlamento a votare una legge di una certa importanza: la riforma dell’ordinamento giudiziario.

E se ad essere colto nella situazione di Cosimo Mele fosse stato un parlamentare favorevole a liberalizzare le droghe e tollerante nei riguardi del fenomeno della prostituzione?

Un parlamentare che attacca la “legge Fini Giovanardi” e si rifiuta di criminalizzare l’esercizio della prostituzione, non mente alla propria base elettorale se fa uso di droga e pratica sesso a pagamento. Un simile comportamento non ha alcuna obiettiva incidenza sulle sue funzioni pubbliche, né sul rapporto con chi lo ha delegato alla gestione della cosa pubblica. Può solo stimolare un giudizio morale, come tale irrilevante per il Diritto. Pertanto, il comportamento va tenuto confinato nella sua sfera privata, pena la violazione del suo diritto alla riservatezza. E’ una situazione analoga a quella vista nel “caso Sircana”: anche lì non si può sostenere alcuna incidenza del fatto privato sulla funzione pubblica esercitata.

Tuttavia, anche la riservatezza di questo parlamentare si affievolirebbe se fuggisse dall’albergo senza preoccuparsi della salute della ragazza, per evitare di essere coinvolto nella vicenda. Tenendo un simile comportamento il parlamentare, che incarna un potere pubblico, mostrerebbe un’assoluta indifferenza nei riguardi della persona umana, tanto da far legittimamente dubitare chiunque della sua affidabilità nella cura di interessi generali. Va infatti ricordato quando previsto dall'art. 2 Cost., secondo cui “La Repubblica […] richiede l'adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale”. E' il principio costituzionale di solidarietà, che deve caratterizzare ogni tipo di azione pubblica (e, secondo molti, anche il comportamento dei privati). Pertanto, la diffusione della relativa notizia, nella sua completezza, soddisferebbe pienamente il requisito dell'interesse pubblico perché ristabilirebbe il rapporto tra il parlamentare e la collettività in termini di verità.